Scarlino 1920
Su S.Martino occupata sventola bandiera nera
Son qui gli anarchici per mutar la chiesa in teatro
Nasce il nuovo secolo e a Scarlino spunta un sogno: libertari e democratci voglion prendere “S.Martino”, la chiesa del `dugento` , per farne un teatro del novecento.
L’ idea circola da tempo: ne parlano anarchici e repubblicani, socialisti e radicali nelle piazzette del paese, nelle case private e all’ osteria; se ne discute dopo il lavoro, la notte sopratutto, dal calar del sole al canto del gallo, e ormai del progetto tutti sanno, anche il prete e il maresciallo.
S.Martino è una delle chiese principali del paese, la più alta al colle, un edificio imponente, mattoni e macigno che vanno sedici metri per tredici in lungo e largo, sullo snello campanile due campane in bronzo.
Nei primi anni del novecento S.Martino è sempre più oggetto di furiose contese tra preti e popolo, chi vuol la chiesa e chi il teatro.
I giornali danno, più volte, notizia della questione, da una parte i cattolici, stretti intorno a don Boschetti ( un prete che diventerà squadrista ), dall’altra i repubblicani, i socialisti e gli anarchici, intransigenti paladini di quelli che considerano i diritti intangibili della Comunità scarlinese, su quello stabile duecentesco.
Neanche la tormenta della grande guerra spazza via la questione della Chiesa-teatro che torna attuale fra i sovversivi locali, numerosi e combattivi; nel 1910 infatti, ai tempi di “Belluria”, del “Ministro” e del Camerini, Scarlino è stata sede della vivace Federazione anarchica maremmana.
Tra il ’15 e il ’18 un certo numero di libertari e di socialisti si sono rifiutati di sparare ai “fratelli austriaci”; alcuni, come Francesco Portanti, Faustino Bianchi e “Pelino” Bartolommei, sono stati condannati all’ergastolo per “diserzione in presenza del nemico”; altri, fra cui Baldo Bixio Cavalli e lo stesso “Belluria”, hanno trovato un incerto rifugio a Zurigo e a Bellinzona, dove si son distinti come organizzatori di scioperi “economici” e agitazioni politiche contro la guerra, con loro sovversivi notissimi, come Luigi Bertoni, Giovanni Fassina, Attilio Copetti, Francesco Misiano, Roberto Rizza, Francesco Ghezzi e Sandro Conconi.
Nel 1919 il Gruppo anarchico scarlinese si rafforza, aderiscono molti ex combattenti e tanti giovani nati all’inizio del secolo. La guerra, il carcere e l’esilio in Svizzera hanno temprato la vecchia guardia libertaria, l’hanno anche resa più determinata e combattiva.
Fra gli elementi di maggiore spicco del Gruppo c’è – in questa fase – Marx Portanti, che dal 1915 al 1918 ha diffuso, instacabile, a Scarlino, il “Martello” e l'”Avvenire anarchico”, incurante delle minacce e delle diffide delle autorità.
Arrivano anche Angiolino Bartolommei, Narciso e Corrado Portanti, Settimio Soldi, Adamo Petrai, Biagio Cavalli, Martino Masotti, l’anziano Liberato Bianchi, e con loro Virus Venturi, Costantino Niccolai e quasi tutti i fratelli Cignoni.
I più anziani hanno redatto e diffuso numeri unici “memorabili” come “Il rinnovatore” e “Montjuich”, hanno partecipato ai “Convegni contro la guerra” di Follonica e di Piombino, hanno curato sui fogli libertari nazionali rubriche come “Il presente scarlinese”. Alcuni, come Liberato Bianchi, Baldo Bixio Cavalli, Angiolino Bartolommei e Corrado Portanti, hanno partecipato, nel 1907, alle commemorazioni di Giordano Bruno, nel segno del più aperto anticlericalismo.
La Chiesa di San Martino è per loro una ineludibile questione di principio, che il comportamento di don Boschetti rende anche più spinosa. Il prete è fortemente inviso e osteggiato; prima della guerra si è preso a pugni con i sovversivi locali, li ha denunciati ed è stato da loro minacciato e percosso.
Al principio del biennio rosso poi si registrano, a Scarlino, numerosi scioperi politici e di categoria, con forti agitazioni popolari; nell’estate del ’19 molti socialisti – come Sabatino Rosa – e con loro i libertari vengono denunciati per aver imposto un calmiere ai commercianti ed aver requisito e distribuito, gratuitamente o a “prezzo politico”, nelle “giornate dello svaligiamento”, la pannina, l’olio, il vino e il pane.
La parte conservatore del paese al momento non reagisce, gli ex volontari della prima guerra mondiale – quasi tutti membri di famiglie abbienti e reazionarie – mordono il freno, in attesa di “rifarsi”, con gli interessi, sui loro avversari politici (1).
Nel ’20 i moti continuano, ma lo Stato borghese non viene rovesciato, perché né i socialisti, né gli anarchici riescono a vibrare alle istituzioni monarchiche e parlamentari quel colpo decisivo, di cui continuamente comunque scrivono sui loro giornali; in settembre fallisce l’occupazione delle fabbriche, “ultima spallata” del proletariato contro la borghesia industriale.
In provincia le cose non vanno diversamente, la presa dell’Ansaldo di Grosseto si conclude in un nulla di fatto, alle fonderie di Follonica la direzione – l’elemento di maggior rilievo è il ragioniere Attilio Garbaglia, un radicale di destra che passerà al fascismo – torna al suo posto, dopo qualche giorno di incertezza.
Delusione e deflusso non impediscono agli anarchici di Scarlino di decidere, nella settimana seguente, di occupare la Chiesa di San Martino.
E`la notte del due di ottobre e cinque di loro – Smeraldo Cignoni, Narciso Portanti, Giuffredo Guarguaglini, Riccardo Gaggioli e Beroldo Bianchi – si infilano nell’edificio sacro, issando sul campanile le bandiere nere dell’anarchia.
Quando Scarlino si sveglia, i drappi neri al vento, la gente è scossa da fremito libertario; al mattino infatti un centinaio di sovversivi – ci sono fra loro molte donne, come sempre molto attive -, guidati da Baldo Bixio Cavalli e da Angiolino Bartolommei, fanno il loro ingresso nella Chiesa per dar man forte ai compagni.
Fra i rivoltosi si agita Settimio Soldi, detto `il mucco`; entrano chiassosi, chi ha la doppietta e chi la forca, i piu` sono armati d`ascia e pennato, una donna – capelli alla francese – porta il revolver e a far lotta son pronti tutti.
Con grandi sacchi, nel gruppo, si portano dentro la chiesa anche provviste.
“Da S.Martino non s’esce più” – grida Beroldo Bianchi – ” Di qui comincia la rivolta: la chiesa sarà teatro e la caserma spaccio proletario”.
Dentro la grande chiesa ora ci sono circa centoventi persone e tutto s’organizza: si estrae a sorte il nome di otto uomini, che per tre ore, ogni giorno, dal campanile, a turno, guarderanno intorno.
Fra i cattolici si diffonde il più grande sconcerto e don Boschetti, che dà in escandescenze, chiede l’immediato intervento della forza pubblica, ma i carabinieri tergiversano e il loro comandante si sforza di avviare una trattativa con gli occupanti, senza esacerbare gli animi – d’altronde già abbastanza eccitati – con un’azione di forza, che potrebbe sfociare in un gravissimo spargimento di sangue.
Il graduato non ignora di aver a che fare con gente risoluta, militanti anarchici che hanno compiuto, nel passato lontano e in quello più recente, scelte difficili, dolorose e a volte drammatiche.
Nervi saldi, dunque, e cautela.
Mentre i carabinieri vigilano prudenti, dentro la chiesa si discute con calore:
– “i carabinieri arrivano a dieci coi rinforzi di Follonica e ci vuol niente a spazzarli via.”
– ” Ma forse è il caso di concordare una via d’ uscita, ‘ché l’occupazione non potrà durare all’infinito, a Scarlino potrebbe arrivare anche l’esercito”.
– “Che mandino i cannoni, li faremo rotolar di sotto”
Ma alla fine si mantengono contatti con l’esterno, i colloqui sono lunghi e laboriosi, perché una parte degli anarchici rifiuta di lasciar la Chiesa; e mentre all’interno fervono, a lume di candele, le discussioni politiche, si raccolgono sottoscrizioni in favore dei fogli libertari poi – di tanto in tanto – si inganna il tempo, ballando e intonando le canzoni della rivolta:
“Guardia regia, guardia regia
Contro della guardia rossa
E alla prossima riscossa
La tua infamia punirà.
Per un pugno di moneta
Per un pan che ti hanno dato
Rinnegaste la tua meta,
Quella del proletariato,
Hai tradito e abbandonato
I compagni di lavor
Con i quali nel passato
Tu pugnaste il tuo avvenire.
Guardia regia, guardia regia
Contro della guardia rossa
E alla prossima riscossa
La tua infamia punirà.
Quante mammme piangeranno
Che suo figlio ucciderai
Ma il gran dì che gli operai
Sulla piazza scenderanno
A combattere i diritti
Come tu hai combattuto
Ti fai schiavo, vil venduto,
Per l’eterna schiavitù…”
Gli occupanti – come testimonierà, qualche anno più tardi, Angiolino Bartolommei – son divisi: l’ala più estrema esige che l’edificio sacro venga senz’altro affidato alla popolazione locale, altri – i più numerosi – sono invece inclini a un compromesso.
E` così che il cinque di ottobre, i sovversivi, dopo aver lasciato sull’altare un contributo per la cera consumata nei giorni precedenti, escono dalla Chiesa di San Martino, che viene restituita a don Boschetti dai carabinieri.
Vengono denunciati all’autorità giudiziaria Beroldo Bianchi (2), Baldo Bixio Cavalli (3), Narciso Portanti (4), Smeraldo Cignoni (5), Riccardo Gaggioli (6) e Gualfredo Guarguaglini (7).
Il processo, tuttavia, non si farà, perché i sei anarchici beneficiano, verso la fine del ’23, di un’amnistia. Amnistia, a dire il vero, quasi inutile, perché da tempo la violenza fascista ha costretto la maggior parte di loro a rifugiarsi oltr’Alpe.
1) Un certo numero di scarlinesi, che erano stati volontari della grande guerra, passarono allo squadrismo. Alcuni di loro – Solimeno e Archimede Petri, Ennio Barberini – presero anche parte, nel giugno del ’21, alla sanguinosa “conquista” di Grosseto. Quindici anni più tardi Solimeno Petri venne ucciso in Africa dai patrioti abissini.
2) Perseguitato dai fascisti, Beroldo Bianchi dovette lasciare Scarlino, per rifugiarsi in Francia. I suoi vecchi amici ricordavano che, per sfuggire alle sopraffazioni dei “neri”, aveva dovuto nascondersi per qualche tempo in un seccatoio, dislocato dalle parti della Buca della Neve: “…a Caralle i castagni mantengono ancora, leali, il lungo silenzio su Beroldo fuggiasco, che nascosero, ospitali per l’esilio francese”. Il padre di Beroldo, Liberato, uno dei più vecchi anarchici di Scarlino, venne più volte aggredito e picchiato dagli “italianissimi”.
3) Il calzolaio Baldo Bixio Cavalli – già segretario della Federazione anarchica maremmana ai tempi della guerra di Libia – fu costretto, nel 1923, a trasferirsi a Livorno, dove venne a lungo molestato dai fascisti.
4) Narciso Portanti raggiunse la Francia nel 1923, con la moglie Antonia Batti e i figli Libero e Libertario. Insieme al figlio minore raccolse a Parigi, dal 1936 al 1939, gli aiuti per gli anarchici spagnoli e diffuse il periodico “Le libertaire”.
5) Smeraldo Cignoni entrò in Francia nel 1923. La Prefettura fascista di Grosseto inserì il suo nome – insieme a quello del fratello “Picche” – nella prima categoria dei nemici del regime di Mussolini: gli attentatori.
6) Un altro degli occupanti della Chiesa di S. Martino, Rinaldo Gaggioli, detto Riccardo, lasciò Scarlino nel 1923 e trovò riparo – come Marx e Francesco Portanti – in Francia.
7) Quando, nel 1921, la Maremma grossetana cadde nelle mani dei seguaci di Mussolini, Gualfredo (o Giulfrido) Guarguaglini rimase a Scarlino, dove fu, più volte, infastidito e percosso dai “nerocamiciati”. La più clamorosa aggressione Guarguaglini ebbe a subirla sul finire del 1922, allorché alcuni suoi compaesani, passati nelle file fasciste, lo assalirono alla stazione di Gavorrano, lo legarono, gli misero una catena al collo e lo portarono a piedi – fra urla oscene, sputi, schiaffi e pugni – fino alla stazione di Scarlino.
( Autore: Fausto Bucci – Follonica )