Nasce a Montieri il trenta ottobre 1898, il babbo si chiama Giuseppe, la mamma Olinda Fabbri. Giovan Battista ha due sorelle: Teresa (1) e Eulalia, due fratelli: Enrico (2) e Aurelio (3). Dopo le elementari, impara dal padre il mestiere del fabbro e va a lavorare a Boccheggiano, nell’officina della miniera della Montecatini: lo zio – ricorderà Renato Palmizzi – “è descritto [nelle schede di polizia] come bracciante, invece faceva il fabbro, era una famiglia di fabbri, lavorava a Boccheggiano” (4). Come molti coetanei, Giovan Battista viene chiamato alle armi nel ’17, incorporato in un reggimento di fanti e mandato in prima linea, dove vede morire i suoi commilitoni – ragazzi come lui all’alba della vita – sotto il “raganellare” della mitraglia, in assurdi assalti frontali ai reticolati austriaci, le forbici tarlate in pugno…
L’avversione per l’esistenza orribile, che è costretto a condurre in mezzo al fango, ai topi, al sangue e alla morte, lo sdegno per gli arresti e le decimazioni dei soldati (5) lo convincono dell’urgenza di rovesciare quel sistema economico e di potere, che manda allo sbaraglio migliaia di giovani e li sacrifica al Moloch della guerra, arricchendosi con la produzione di cannoni e di armi di ogni genere.
E quando rientra a Montieri, entra subito nel Partito socialista e partecipa alle agitazioni e alle proteste proletarie, che fioriscono in tutta la zona (e anche a Colle Val d’Elsa e a Siena) nel biennio rosso. Passato nelle file comuniste dopo Livorno, a conclusione di un ulteriore radicalizzazione politica, Frati è subito fra gli oppositori più accesi del fascismo, che in Maremma mostra la sua faccia più feroce e antioperaia, e, dopo la furiosa devastazione della sezione comunista locale da parte dei “ricostruttori nerocamiciati” di Siena, Volterra e Firenze, custodisce in casa la bandiera rossa, che è riuscito a salvare.
Trasferitosi a Gavorrano l’anno seguente, Giovan Battista si guadagna da vivere nelle viscere della terra, scavando la pirite nella miniera del Rigoloccio, ma, presto individuato come sovversivo, è più volte minacciato dagli squadristi, tra i quali si distinguono, per la bestialità, alcuni minatori sardi (6). E sono proprio le loro insensate provocazioni a spingerlo ad andarsene da Gavorrano nel ’24 e a spostarsi a Torino, ma il capoluogo piemontese non gli sembra – e non è – più sicuro della Maremma grossetana, ragione per cui Frati prosegue clandestinamente il suo viaggio verso la Francia, dove si ferma a Nizza.
L’esilio è, anche per lui, difficilissimo (7) e negli anni seguenti patisce soprusi, disoccupazione e miseria. Per la sua scarsa corrispondenza – spesso non ha nemmeno gli spiccioli per le affrancature – usa come recapito l’indirizzo del bar Marie, in rue Richelieu, per tirare avanti fa ogni sorta di lavori, dal fabbro al meccanico, dal bracciante al manovale edile, subendo i ricatti dei “tâcherons”, i famigerati capimastri, avvezzi a imporre ritmi di lavoro incalzanti nei cantieri e a pagare salari da fame. In queste condizioni Frati si trova ancora nel luglio del ’36, nei giorni in cui i militari spagnoli si sollevano contro il Governo repubblicano e comincia la guerra civile. Le notizie, che arrivano da Barcellona e da Madrid, suscitano il suo entusiasmo, la decisione di partire per la Spagna è subito presa, ai primi di agosto è a Irún per battersi – armi alla mano – contro i rivoltosi, che minacciano la città.
Guidati dal generale Solchaga e dal colonnello Beorlegui, dotati di un armamento molto migliore di quello dei “governativi”, i franchisti vogliono conquistare Irún, per interrompere il (modesto) flusso di armi, che dalla Catalogna – lungo un “corridoio” francese – arriva nelle Asturie e nei Paesi baschi, completamente isolati, dopo il venti luglio, dal resto della Spagna.
Il loro piano deve però fare i conti con la resistenza degli anarchici e dei comunisti baschi e catalani (arrivati da Barcellona per dare man forte ai correligionari) e con quella di alcuni gruppi di volontari “stranieri”, che sono comandati dall’ex ufficiale francese Jacques Menachem, dal “tedesco rosso” “Papa”, dal polacco Franzis Palka e dal comunista italiano Remigio Maurovich, detto “Gorizia”, e di cui fanno parte, oltre a Frati, il comunista della Bessarabia Loib Jampolski, detto “Jean Paul”, i trotskisti belgi René Pasque, Pierre Wauvermans, Auguste Louis Lannoy e Louis Boulanger, l’antifascista austriaco Franz Hutmacher, l’ebreo tedesco Moise Lipis e gli antifascisti italiani Artemio Agosti (8), Tommaso Ciappelloni, Ulderigo Trezza, Arrigo Gojak (9) e Alberto Donati (10).
La lotta è accanita, a Behobía cadono Pietro Bertoni e Juan López, poi muoiono René Pasque e Alberto Donati, infine si sacrificano sul ponte internazionale di Hendaye, consentendo il passaggio di alcune migliaia di civili in Francia, Remigio Maurovich ed altri volontari internazionali e vengono feriti Arrigo Gojak (che verrà assassinato dai franchisti, il quattro settembre, all’ospedale di Irún), il “tedesco rosso” Stern (che morirà in un nosocomio francese) e lo stesso Frati. Solo dopo aver tirato fino all’ultima pallottola (11), i difensori del ponte entrano in Francia, mostrando alle guardie di frontiera i caricatori vuoti.
Curato in un ospedale della Legione straniera, Frati si ristabilisce, ma i suoi propositi di tornare in Spagna (12) naufragano ed egli precipita di nuovo nella miseria. “Io adesso sono guarito, ma per il lavoro non c’è niente da fare. Io per mangiare – scriverà alla sorella Teresa il sette agosto 1937 – faccio tutto quello, che una volta non avrei giammai avuto il coraggio di fare…”
Informate dell’arrivo della lettera dalla Francia, le forze dell’ordine procedono al sequestro della lettera e la Prefettura di Grosseto mette al corrente il Ministero dell’Interno il trenta agosto di aver saputo che Frati “erasi arruolato nell’esercito repubblicano spagnolo e che in combattimento aveva riportato una ferita in seguito alla quale ritornò a Nizza, dove venne ricoverato in ospedale a cura della legione straniera francese. Eseguita una perquisizione nell’abitazione della sorella del soprascritto a nome Teresa, in Palmizzi, nata a Montieri il primo gennaio 1889, ivi residente, è stata rinvenuta una lettera scrittale dal fratello, in data sette corrente mese… In questi atti [Frati] non ha precedenti penali, ma politicamente fu un comunista irremovibile”.
In Francia il sovversivo di Montieri – prosegue il prefetto Enrico N. Trotta – ha un recapito presso un certo François Garon, Bar Marie, rue de Dottor Pierre Richelmi, Nice, e incontra saltuariamente il fratello Aurelio, che vive nella stessa città. Il Trotta conclude, precisando di aver chiesto l’iscrizione dell’ex “miliziano rosso” nella Rubrica di frontiera e nel Bollettino delle ricerche “per il provvedimento di arresto”.
Il tre novembre Frati viene schedato: la Prefettura scrive che è alto m.1,65, ha capelli castani, colorito bruno e naso rettilineo. E’ persona intelligente, che “si comportava bene con la famiglia”, mentre “colle autorità era poco rispettoso… Durante la permanenza in patria svolgeva propaganda comunista e palesava le sue idee sovversive”, anche se non era in grado di tenere conferenze, “né dirigere riunioni, né svolgere lavori organizzativi. Non collaborava con giornali e riviste, non era abbonato a giornali o pubblicazioni di tale natura, leggeva di preferenza il giornale “L’Avanti”, che acquistava in commercio”.
Nel ’38 le autorità italiane cercano vanamente di verificare se il Frati abiti a Nizza, a Cap d’Ail, presso il fratello Aurelio, o a Montecarlo, dove la sorella Eulalia, vedova Passarello, gestisce un negozio di fiori, il ventiquattro giugno del ’39 confermano la sua iscrizione nella Rubrica di frontiera e in seguito, fino al venticinque aprile del ’42, si sforzano infruttuosamente di rintracciarlo. Rimasto nella Francia meridionale, il comunista di Montieri collabora con il movimento partigiano (13) fino alla liberazione, poi, a guerra conclusa, si trasferisce in Corsica, dove muore dopo un’operazione chirurgica.
Appendice:
Giovan Battista Frati in Francia
Renato Palmizzi. Mio zio Giovanni in Spagna
Note
1)Teresa Frati nacque il primo gennaio 1889.
2)Enrico Frati nacque il ventotto aprile 1897.
3)Aurelio Frati nacque l’otto aprile 1894.
4)Palmizzi, Renato. Test., Follonica, 27 giu. 1993, AB, M4, 17.
5)Sulle decimazioni dei fanti si veda: Silvestri, Mario. Isonzo 1917, Milano: A. Mondadori, 1971, p.120-125.
6)Le poco onorevoli “gesta” degli squadristi sardi a Gavorrano, a Ravi e nelle altre località minerarie non sono state ancora dimenticate nella vallata del Pecora. Un anziano concittadino ci ha raccontato nei giorni scorsi: “Come i sardegnoli, i sardegnoli, siccome nelle miniere un ci voleva anda’ nessuno dentro, gli scarlinesi dicevano: “Ci so’ le persiane dentro la miniera? Se c’è le persiane bene, se no digli ci vada i gavorranesi a lavora’ dentro la miniera…” Allora mandavano le gente in Sardegna a cerca’ gli operai e fra questi sardegnoli ce n’era sortiti una ventina, caro mio, come il…, riscuotevano la paga, ma lavorà… e guai se gli dicevano qualche cosa perché loro quando c’era da picchià qualcheduno, i [fascisti] gavorranesi ci mandavano questi sardegnoli. Ora poi il direttore della Montecatini, dopo che avevano picchiato qualche impiegato, che fece? Si rivolse al prefetto, il prefetto si rivolse al duce, che c’era questa ventina di sardi che non volevano lavorare, così, così, e allora fu che il prefetto dette ordine di rimpatriarli, alla stazione di Gavorrano fecero venire un vagone da bestiame, caricarono tutti e li portaroino via un’altra volta…”
7)Sulle condizioni di indigenza, in cui visse un numero non trascurabile di antifascisti italiani in Francia e in Belgio, si legga: Salvini, Cristofano. Dopo inaudite sofferenze…: racconto autobiografico / a cura di Fausto Bucci, Claudio Carboncini e Paolo Casciola, Foligno: Centro studi Pietro Tresso, 1996.
8)Artemio Agosti nacque a Alseno (Piacenza) il diciotto aprile 1902, aderì giovanissimo al P.S.I. e partecipò alle agitazioni del primo dopoguerra. Emigrato clandestinamente in Francia nel ’22, si stabilì a Fontenay-sous-Bois. Il tredici agosto 1936 accorse in Spagna e collaborò alla difesa di Irún. Spostatosi a Durango, venne ferito a una gamba a Santander. Successivamente fu colpito al volto a Oviedo, mentre comandava un carro armato, e subì l’asportazione del bulbo oculare, ma, avendo perduto l’altro occhio da bambino, rimase completamente cieco. Accompagnato in Francia dal comunista Mentore Torelli, si trasferì nel ’38 in Unione Sovietica per ricevere cure più adeguate. I fascisti ritennero per qualche tempo che fosse morto in Spagna (ACS, Roma, CPC, b.26, fasc.50336; Arbizzani, Luigi. Antifascisti emiliani e romagnoli in Spagna e nella Resistenza, cit., p.21; La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939…, cit., p.44).
9)Arrigo Gojak nacque a Trieste il trentuno ottobre 1898. Frequentate le elementari, imparò il mestiere di meccanico (o tubista industriale) e si iscrisse giovanissimo al Partito socialista. Nel biennio rosso prese parte alle manifestazioni rivoluzionarie, che ebbero luogo a Trieste, poi passò nelle file comuniste e si batté contro i fascisti, insieme agli arditi del popolo. Nel ’23 diffuse fra i lavoratori triestini i volantini, che illustravano le condizioni di ammissione al P.C.d’I. e nel maggio del ’27 fu arrestato, insieme a Umberto Cumar, per “incitamento all’insurrezione”, perché aveva tentato di organizzare una milizia operaia “per provocare tumulti, rovesciare il regime fascista e instaurare la dittatura proletaria”. Prosciolto in istruttoria, dopo quindici mesi di carcere preventivo, fu assegnato, il tre settembre del ’28, al confino per cinque anni perché “ritenuto pericoloso all’ordine nazionale dello Stato”. Tradotto a Ponza e schedato il dieci ottobre del ’28, fu rilasciato il diciotto agosto del ’32 e incluso, l’anno seguente, nelle liste degli attentatori, insieme a Luigi Calligaris, a Anton Ukmar, a Vittorio Repich, a Giuseppe Dekleva e ad altri nove sovversivi triestini.
Emigrato in Francia nel ’33, frequentò, dal ’34 al ’35, una scuola di formazione militare in Russia. Iscritto nella Rubrica di frontiera e nel Bollettino delle ricerche “per il provvedimento di arresto”, giunse in Spagna nell’agosto del ’36 e partecipò alla difesa di Irún. Ferito il tre settembre, fu assassinato il giorno dopo dai franchisti nell’ospedale della città basca, dove era stato ricoverato (Antifascisti di Trieste, dell’Istria, dell’Isonzo e del Friuli in Spagna / prefazione: Vittorio Vidali, redattore: Bruno Steffè, Trieste: Aicvas, 1974, p.84; Dal Pont, Adriano. Carolini, Simonetta. L’Italia dissidente e antifascista: le ordinanze, le sentenze istruttorie e le sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista…, Milano: La pietra, 1980, vol.1, p.318; Dal Pont, Adriano. Carolini, Simonetta. L’Italia al confino, 1926-1943…, Milano: La pietra, 1983, vol. 2, p.580; ACS, Roma, CPC, b.2476, fasc.19448).
10)Alberto Donati era nato a Piacenza il diciassette agosto 1895. Sottotenente del genio durante la grande guerra, emigrò in Francia nel ’30. Secondo i fascisti, professava “idee anarcoidi” e frequentava “gli elementi sovversivi di Tolosa”. Nella sua scheda, pubblicata nei “Quaderni italiani”, si legge che “fece parte del Soccorso rosso e poi del fronte unico”. Iscrittosi al P.C.d’I nel ’32, cadde a Irún, “combattendo sul colle della Puncha” (Volontari italiani caduti in Spagna, Quaderni italiani, New York, n.3, apr. 1943, p.123).
11)Gli internazionali inflissero a Irún e a Hendaye gravi perdite ai franchisti, uccidendo, fra gli altri, il colonnello Beorlegui.
12)Una parte dei difensori di Irún – come Franzis Palka e Boleslaw Ulanowski – combatterono in seguito a Madrid e sul fronte aragonese.
13)Palmizzi, Renato. Test., Follonica, 8 ago. 1993, AB, M7, 38.
Inizio documento
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Giovan Battista Frati in Francia
“R. Prefettura di Grosseto.
Divisione Gab.
1. di prot.06184
Risposta a nota n.38288/129838 del 29.5.1938
Oggetto: Frati G. Battista, detto Giovannino, fu Giuseppe e fu Fabbri Olinta, nato a Montieri il 30.10.1898, comunista
Grosseto, 23 settembre 1938-XVIº
On.le Ministero dell’Interno
Dir. Gen. P.S. Div. A.G.R.-Sez.Iª (Cas. Pol. Centr.)
Roma
e p.c. a S.E. il Prefetto di Siena
Di seguito al cenno di variazione, mod. 81, trasmesso in pari data e numero, a codesto on. Ministero, comunico che, da ulteriori accertamenti esperiti, è risultato che il comunista in oggetto si trova attualmente in Francia e sembra che risieda presso il di lui fratello Aurelio autista meccanico, al seguente indirizzo: Comune di Cap d’Ail, quartiere Saline, dipartimento delle Alpi Marittime, giurisdizione consolare di Beausoleil. Tale indirizzo è stato fornito da certa Cavicchioli Cerbina, residente a Chiusdino, la quale s’è recata a Montieri a portare i saluti del Frati Aurelio ai propri parenti, siccome reduce dalla Francia e momentaneamente a Chiusdino in attesa di riespatriare. La stessa ha dichiarato di aver visto il Frati Giov. Battista e di essere in buoni rapporti di amicizia col Frati Aurelio, fratello del detto comunista.
Il prefetto”
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Renato Palmizzi. Mio zio Giovanni in Spagna
D.:Quando andò in Spagna tuo zio?
R.:Mio zio andò in Spagna ai primi di agosto del 1936. Viveva a Nizza da tanti anni, i fascisti lo avevano molestato a Montieri e a Gavorrano, dopo la prima guerra mondiale… Faceva il fabbro ed era iscritto al Partito comunista, anzi era uno dei principali esponenti del Partito comunista a Montieri. Non so se fosse in contatto con Bertolini, di cui altre volte mi hai parlato, ma è probabile perché Domenico Bertolini era molto conosciuto e apprezzato per le sue capacità organizzative a Boccheggiano e a Montieri, dove capitava spesso. Mio zio raggiunse i Paesi baschi, come mi raccontò in Francia, dopo la seconda guerra mondiale. Io avevo partecipato alla Resistenza nell’Italia settentrionale, lui aveva collaborato con i partigiani francesi fino al ’44. Entrò in Spagna passando per un ponte internazionale, di cui non ricordo il nome, e sullo stesso ponte venne ferito in settembre, mentre insieme ad altri volontari lo difendeva per permettere ai civili di rifugiarsi in Francia…
Mio zio era un uomo coraggioso, faceva parte di una colonna di miliziani di tendenza comunista (ma a Irún c’erano anche gli anarchici). La colonna non era molto numerosa, gli internazionali erano poche decine. Anche un altro dei miei zii era antifascista. Era emigrato in Francia perché non sopportava le prepotenze degli squadristi, si chiamava Aurelio, faceva anche lui il fabbro…”
(Tratto da ” Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola” di Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi e Rodolfo Bugiani – Follonica 2000)