Nasce a Perugia il 6 marzo 1909, si trasferisce a Grosseto con la famiglia nel 1914.
Muratore di mestiere, aderisce al Partito comunista prima delle leggi eccezionali. Dopo l’arresto di Assunto Aira e di Tina Pizzardo, continua a partecipare alle riunioni clandestine che si tengono fuori dal perimetro murario, al diversivo o alle Sinitraie, a diffondere la stampa comunista,a svolgere un’attività intensa contro il regime.
Il 29 giugno 1930 si reca con Aristeo Banchi, Ettore Ammazzini e Egisto Notari, più conosciuto come Pasqualino, a Abbadia San Salvatore, dove è fissato un appuntamento con un emissario del partito.
Solo qualche mese più tardi l’apparato repressivo fascista viene a conoscenza del fatto, per questo il 25 settembre si arresta anche Tognetti e si perquisisce la sua casa, seppure con esito infruttuoso. Detenuto a Roma, egli viene interrogato in carcere e, analogamente a Ammazzini, ammette il viaggio a Abbadia, sostenendo però che l’incontro con l’inviato del partito è avvenuto casualmente.
L’assunzione di tutte le responsabilità da parte di Banchi fa sì che la Commissione istruttoria del Tribunale speciale il 21 gennaio 1931 lo prosciolga, insieme all’ Ammazzini e al Notari. Diffidato il 12 febbraio 1931, dall’ apposita Commissione provinciale, Tognetti viene quindi scarcerato.
Poi, il 26 febbraio, la Regia Prefettura di Grosseto scrive di lui al Ministero dell’ Interno:
“Sebbene nulla emerga dal suo passato, egli è ritenuto di idee comuniste per i suoi rapporti di amicizia con elementi locali di sospetta fede politica.”
Negli anni seguenti i solerti funzionari della Prefettura e della Questura non segnalano più nulla di particolare sul suo conto, limitandosi a annotare, il 21 aprile 1938, che non mostra segni di ravvedimento e il 31 gennaio 1940 che è sorvegliato cautamente, per quanto mantenga condotta regolare.
Le carte di polizia non registrano quello che a Grosseto è a tutti noto: che il Bèco – questo il soprannome del Tognetti – viene con ogni pretesto bastonato dagli squadristi grossetani.
Una di queste aggressioni ha per testimone il pittore Carlo Gentili: “Un mio compagno, soprannominato il Bèco, era un antifascista ormai noto, quando una sera si incontrò una nutrita squadra di fascisti. Questi lo assalirono e lo gettarono a terra, e poi dieci, dodici piedi calzati con grossi scarponi lo pestarono. Il sangue gli usciva dalla bocca quando lo abbandonarono per la strada … “.
Aladino Fumi e Aristeo Banchi rammentano che ogni occasione era buona per i “lanzi” di Grosseto per infierire su di lui. Come si fa – ci ha detto Fumi – a ricordare tutte le violenze di Catone, dei Bonvicini, di ragno e dei loro accoliti?
Dopo l’esposizione della bandiera rossa sul campanile, Tognetti, insieme al Fallani, viene selvaggiamente picchiato, poi è di nuovo malmenato con brutale durezza in via Vinzaglio, quindi ci si accanisce contro di lui davanti all’ albergo La Stella.
Le bòtte gli lesionano il polmone, la sua salute ne esce irrimediabilmente compromessa.
Ormai la vicenda di questo muratore si avvia alla fine, l’8 gennaio del ’41 Tognetti muore a Grosseto.
Ha appena 31 anni.
( Scheda di Fausto Bucci – Follonica * Fonti: ACS Roma e testimonianze di A.Banchi, A. Fumi, C e E. Gentili )