Agostino Franchi apparteneva ad una famiglia di agricoltori, proprietari del podere da essi condotto. Famiglia laboriosissima, che però non si faceva illusioni come molti piccoli coltivatori diretti della zona dove abitavano, Poggibonsi. I Franchi erano in linea, quindi, con gli altri lavoratori. Erano organizzati nelle leghe rosse e questo dette motivo di infierire in modo particolare contro di loro. I bellicosi fascisti poggibonsesi, nel 1921, aggredirono un fratello mezzano di Agostino che per le percosse dovette perdere un occhio. La famiglia Franchi denunciò gli autori alla magistratura per cui, dopo istruita la causa, vennero rinviati a processo i responsabili.
Questo bastò per rendere più accaniti i fascisti contro detta famiglia; tutto fu tentato per far ritirare la loro accusa, erano frequenti, nella notte, le sparatorie contro la loro casa. Ma Agostino non subiva passivamente tali violenze e reagiva; ciò rendeva più prudenti gli assalitori. Una volta li prese alle spalle, i fascisti fuggirono via terrorizzati, poi reclamarono a Siena dicendo di essere stati aggrediti dal Franchi e questo bastò alle Autorità di pubblica sicurezza per requisire i fucili da caccia ai Franchi. Anche per la denuncia ai fascisti, sempre rimandata, tutto si appianò: venne l’amnistia per i reati commessi per “fini nazionali”!
I Franchi, a cui non era più possibile vivere a Poggibonsi, comprarono un podere a Colle e qui si trasferirono, ma Agostino, a cui l’ingiustizia sofferta non dava pace, non era prudente come gli consigliavano in casa, e non poteva sopportare di essere privato del permesso di caccia. Così faceva senza. Un giorno di festa attraversò il paese di Staggia con il fucile a tracolla e questo parve troppo ai fascisti locali, che lo assalirono. Lui non perse la calma, si mise con le spalle al muro e li invitò a farsi avanti; essi, naturalmente si guardarono bene dal farlo, così Agostino tornò liscio a casa.
La notte, quando lo sapevano a Colle, facevano in modo di disturbarlo per convincerlo che non era aria per lui. Una notte, mentre si accingeva a tornarsene a casa, al passaggio a livello di via di Spugna, non osando affrontarlo in dieci, gli fecero una violenta sparatoria, non lo colpirono e non lo impaurirono. Ma una signorina presente, terrorizzata, svenne. Un’altra notte decisero di affrontarlo in campagna: si appostarono alla scesa dei Cappuccini e fermarono quanti passavano di là; lui non lo presero, ma un disgraziato, che tornava da casa della fidanzata dovette, per la paura, starsene a letto per una settimana.
L’arresto che Agostino dovette subire nel 1931, invece di renderlo più prudente lo fece esaltare maggiormente e dopo oltre sei mesi di prigionia la sua mente deviava ancora di più. Ora veniva più spesso a Colle e quando incontrava qualcuno dei suoi persecutori, lo affrontava minacciosamente. Più di uno ne picchiò. Ed in particolare si inferociva contro un tale che lo aveva colpito mentre era ammanettato. Erano i fascisti che ora si dovevano difendere da lui, ormai in preda ad uno stato di semi-follia conseguente alla lunga tenace persecuzione.
E fu lo stesso Agostino che facilitò al massimo il piano escogitato per disfarsi di lui. Fu incoraggiato a cacciare nella “bandita” di Scorgiano, dove, adducendo a giustificazione la caccia di frodo, lo “assassinarono” comodamente ( 2 aprile 1942 ). Morì lasciando moglie e due orfani.
( Testimonianza di Balilla Giglioli contenuta in “ Memorie di Antifascisti Colligiani” a cura di Mino Paradisi ).
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Nota.
Un giovane nipote di Agostino, Onelio Volpini, fattosi partigiano anche per vendicare lo zio, subirà la stessa sorte: sarà uno dei 19 partigiani uccisi in combattimento o fucilati dai fascisti a Montemaggio presso Monteriggioni (Fonte: RMR da “Storia di un partigiano – Autobiografia del comandante partigiano Velio Menchini, nome di battaglia Pelo” – A cura di Mauro Gianni).