Nasce a Grosseto l’8 gennaio 1903, fa il bracciante, poi il carichino di carbone alle locomotive. “Una vita infernale”, ricorda Ganna. In principio socialista, aderisce nel ’21 alla Federazione giovanile comunista. Il 17 agosto si trova a Ravi dai suoi parenti, quando un gruppo di minatori decide di andare a Gavorrano: vogliono proteggere le famiglie di alcuni compagni di lavoro minacciate da un’incursione di fascisti scarlinesi. Ma, quando sono nei pressi della località, si imbattono in un cordone di carabinieri, subito schierati per fronteggiarli; sembra che qualcuno gridi: “Arditi del Popolo a noi !”, i militi caricano, il comunista Pastasio viene travolto e quindi ucciso a colpi d’arma da fuoco. Aira e altre 29 persone sono denunciate con l’accusa di violenza alle forze dell’ ordine.
L’anno seguente, il 30 giugno, alle 3 di notte, il segretario politico del fascio di Ravi sta avviandosi verso la miniera: a 400 metri dall’abitato qualcuno gli spara addosso, ripetutamente, senza riuscire a colpirlo. Vengono avviate le indagini, sono incriminati Michele Lamonarca e Assunto Aira. Dall’ aprile 1923 al marzo 1924 Aira presta servizio di leva in marina, alla Maddalena, nel terzo reggimento di artiglieria pesante.
A Grosseto, intanto, alcuni tentativi di riorganizzare il PCd’I, dissolto dall’ assalto squadristico, falliscono. Anche le missioni di Altiero Spinelli, che incontra 3 o 4 volte Artino Meconcelli, apprendista barbiere da Gino Capperucci, non sono coronate da risultati incoraggianti e una ripresa dell’ attività comunista si registra soltanto quando, al principio del ’25, Aira ritorna da Ravi a Grosseto. Insieme a Eugenio Gentili, a Rinaldo Peppetti, a Aristeo Banchi dà vita a alcune cellule clandestine e recluta al partito un certo numero di compagni. Legato sentimentalmente alla sua futura moglie, Tolibia Fumi, per vivere fa il facchino e nel novembre del ’25 si iscrive – secondo Ganna è una copertura efficace – al sindacato fascista di categoria.
Negli ultimi mesi del ’26 si avvale dell’ aiuto della dott.ssa Battistina Pizzardo, la “ donna dalla voce rauca ”, compagna di Altiero Spinelli e, molto più tardi, di Pavese, da tempo iscritta al PCd’I.
Costei è, da ottobre, incaricata dell’insegnamento della fisica e della matematica nel liceo-ginnasio Carducci-Ricasoli di Grosseto: qui è preside Gisueppe Fatini, vi hanno cattedra Antonio Cappelli e Ildebrando Imberciadori, la segreteria provvisoriamente è affidata a Margherita Fondelli.
Nel luglio del ’27, però, la polizia fascista arresta a Ancona il segretario interregionale comunista Aldo Penazzato. A lui viene sequestrata una tessera della sezione grossetana del sindacato fascista dei facchini: il documento è privo di fotografia, ma dal suo numero è possibile risalire all’ Aira.
In casa sua, a Grosseto, si rinvengono – fra gli oggetti sospetti – un rotolo di tela con pasta poligrafica e una boccetta di inchiostro speciale usati per la preparazione di stampati illegali. Alle contestazioni, Aira replica di non conoscere Penazzato e di aver smarrito la tessera 3 mesi prima, ma non è creduto e viene tradotto a Ancona per altri e più pesanti interrogatori. Le fonti poliziesche riferiscono che il comunista di Grosseto, “indicato dal Penazzato come incaricato del movimento giovanile di quella provincia, non volle fornire informazioni di sorta, adducendo di non essersi occupato di politica da qualche tempo, perché impossibilitato a farlo e di essersi limitato a fornire qualche indicazione agli esponenti del partito comunista nelle poche volte che ebbero a recarsi da lui. Dalle indagini qui esperite risultò che lo Aira spiegava spicciola e occulta propaganda”.
Nella sua bella autobiografia, Battistina Pizzardo (nella foto ) non ha dimenticato lo “scarichino di carbone” grossetano con il quale era finita davanti ai ” giudici ” del Tribunale Speciale fascista per aver tentato di riorgaizzare i comunisti maremmani: ” Aira, che per timore del Penazzato finge di non conoscermi, riesce a sussurrarmi: “noi due però non abbiamo cantato”. Mi viene in mente che avranno trovato a lui la pietra da stampa e il materiale che gli avevo consegnato … “.
Il 28 luglio 1928 il tribunale speciale lo condanna a 3 anni di carcere per ricostituzione del PCd’I e per altri reati. Fra gli imputati ci sono anche Celeste Negarville, cui sono inflitti 12 anni di reclusione, e Ilio Barontini, che viene assolto. Il 14 agosto la Prefettura lo scheda, sul mod. A i funzionari annotano che è di statura leggermente alta e di corporatura robusta.
Il 9 agosto del ’29 Aira torna a Grosseto, ha ormai espiato la pena, l’ultimo reclusorio dove è stato ristretto è il carcere di Campobasso. E’ sorvegliato e il 29 dicembre, alla vigilia di grandi festeggiamenti che si terranno a Roma con la partecipazione di statisti stranieri, viene fermato. Il carcere gli si apre per qualche giorno anche il 6 maggio 1930, nell’imminenza di una visita di Mussolini a Grosseto.
La vigilanza non lo esclude completamente dal lavoro politico. Con Nello Canini e altri compagni insiste perché prendano contatto con alcuni comunisti di Firenze, da lui conosciuti; Siro Rosi racconta che “ fu intorno ’31 che, poco più che sedicenne, presi parte alla prima riunione politica in una cappelleria, ricordo, di tal Belardi, pisano, e c’erano oltre a Boschi anche altri compagni come Vannozzi e Aira …”.
La detenzione e, soprattutto, i duri maltrattamenti subiti lo hanno però debilitato: nel ’31 viene ricoverato per la prima volta in un sanatorio, quello di Livorno, le terapie non riescono a arrestare la tisi, di cui è ammalato. Seguono anni di sofferenze fra nuove ospedalizzazioni e brevi convalescenze, finchè l’aggravarsi del morbo lo stronca a Grosseto il 2 maggio 1936.
Nella sua abitazione di via Battisti 8, alle case senesi, il 3 maggio, nel primo pomeriggio, per rendergli un saluto fraterno accorrono in tanti, indifferenti alle voce di divieto diffuse da fascisti e forze dell’ ordine. Un lungo corteo funebre si snoda per piazza De Maria, via Dante, corso Carlo Alberto, viale Porciatti fino al cimitero di Sterpeto, è funerale senza preti, in forma civile, con il feretro portato a spalla, per esprimere allo scomparso affetto e stima.
I fascisti, forse intimiditi da questa partecipazione intensa e nutrita di gente del mondo del lavoro – sono terrazzieri, manovali, contadini, braccianti – si tengono alla larga, evitando le provocazioni abituali. La polizia invece scatta molte fotografie, le ultime sono riprese dal bastione delle mura, sopra il vecchio caffè Gorrieri.
(Tratto da ” Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola” di Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi e Rodolfo Bugiani – Follonica 2000)