Premessa politica extra sentenza:
I partiti del centrodestra intendevano varare, […], tra le altre leggi liberticide a disgustose, anche una legge che equiparasse i combattenti della repubblica di Salò ai militari che hanno combattuto contro il nazi-fascismo, dopo l’armistizio nell’esercito italiano e ai partigiani. Per ora la legge non è passata, perché non hanno avuto il coraggio di approvarla, timorosi di suscitare reazioni di sdegno troppo forti e elettoralmente controproducenti, ma, se dovessero vincere, sarà sicuramente una tra le prima che approveranno.
Una legge iniqua e vergognosa che renderebbe l’Italia ancor più anomala di quel che non sia già oggi, con gli eredi del fascismo e perfino di Salò al governo e con i fascisti non pentiti e razzisti, che si sono alleati con Berlusconi e la cosiddetta Casa delle libertà per mantenerlo al potere.
Nessun paese europeo che abbia conosciuto l’occupazione nazista ha equiparato i collaborazionisti, i deportatori di ebrei, i fucilatori di partigiani, i torturatori di antifascisti, i devastatori e saccheggiatori di migliaia e migliaia di paesi europei, ai resistenti.
Anche un destro come Chirac, a differenza di Berlusconi, non tresca con gli eredi politici del governo collaborazionista di Vichy e resta antifascista.
Per capire la gravità della proposta di equiparazione di saloini e resistenti, ci sembra utile, proprio in questa provincia, la lettura della sentenza, emessa a Perugia, 21 marzo 1950, a conclusione del processo alla Brigata Nera di Apuania, composta in gran parte di uomini nati qui, in questo territorio, dove commisero crimini gravissimi contro l’umanità, al servizio dei nazisti. Il loro processo avvenne in un periodo in cui già era in atto la guerra fredda; la cortina di ferro divideva ormai il mondo in due schieramenti contrapposti, l’armadio della vergogna era già stato rivoltato contro il muro e dimenticato (a quando una giornata del ricordo dedicata a questa grave e duratura dimenticanza, monumento all’ingiustizia totale?); il governo italiano aveva già deciso, dopo le ampie amnistie degli anni precedenti, la prima delle quali concessa da Togliatti, di accantonare tutti i maggiori processi contro i fascisti e di mandare assolti di fatto, evitando di farli giudicare, tutti i criminali di guerra italiani e tedeschi.
Si voleva censurare e nascondere la memoria non tanto e solo degli orrori, delle stragi, delle deportazioni, delle torture dei fascisti, ma il carattere di iniziativa dal basso e popolare della Resistenza e l’egemonia che su di essa avevano esercitato le sinistre.
Questo clima di accantonamento della resistenza, lo si coglie bene anche in questa sentenza, nella facilità con cui la corte ha evitato di approfondire le indagini su molti degli accusati, sicuramente colpevoli, ma scagionati dai loro coimputati, mandandoli assolti; nello sbriciolamento delle accuse, per cui chi aveva sparato e ucciso viene giudicato colpevole, ma chi era rimasto a guardia di ponti e strade per bloccare eventuali interventi partigiani, per impedire cioè che qualcosa ostacolasse le stragi, viene considerato innocente; nelle troppe assoluzioni per insufficienza di prove; nella contestuale immediata riduzione drastica delle pene dall’ergastolo a venti anni di carcere e anche meno e nella sostanziale mancanza, da parte dei giudici, della collocazione nel loro contesto storico-politico di questi avvenimenti terribili.
Le colpe di questi, erano prima di tutto politiche e di un intero gruppo dirigente, e prodotto di una cultura della violenza, dell’ intolleranza alle critiche, della sopraffazione e del disprezzo degli avversari predicate e imposte per oltre venti anni all’intero popolo italiano. Questi brigatisti, processati come singoli, erano invece un’associazione a delinquere, ma sul banco degli imputati avrebbero dovuto sedere i loro capi e mandanti fascisti e nazisti, prima di ciascuno. Anche in questo caso furono gli stracci a finire all’aria, l’ultimo anello della catena che si era accollato i lavori più disgustosi e sporchi. Ma le stragi non erano iniziative improvvisate di nazisti e fascisti; erano un progetto politico-militare preciso. Che è quanto al processo non viene fuori, perché avrebbe significato dover far emergere le responsabilità di una classe dirigente che era riuscita a sottrarsi a una sua Norimberga e si era immediatamente riciclata come moderata e liberale.
Anche se è vero che neanche i brigatisti neri pagarono per le stragi e le rappresaglie, perché le pene loro inflitte, già ridotte dalla sentenza di Perugia, furono ulteriormente ridotte da condoni e altri provvedimenti di clemenza che si susseguirono in tempi ristretti.
Nonostante questa sostanziale sfasatura del processo rispetto alle colpe e ai responsabili delle stragi , basta la sola lettura di questa sentenza per far capire l’iniquità e l’inaccettabilità dell’equiparazione di questi criminali, con i resistenti e gli antifascisti che combatterono e lottarono contro e non alle dipendenze e al soldo di un esercito feroce di occupazione, razzista, antisemita e barbarico come quello nazista, per riconquistare all’Italia il diritto di sedere tra i popoli civili.La sentenza è già comparsa nell’opera di Giovanni Cipollini “Operazioni contro i ribelli” , ma [vogliamo] ripubblicarla in questo giornale, per mettere a disposizione anche di chi non ha letto il libro, un testo non facilmente reperibile, con uno scopo politico chiaro, quello di opporsi alla legge post fascista delle destre a favore dei fascisti di Salò. […].
La sentenza del processo alla brigata nera di Apuania responsabile delle stragi di Vinca e Bergiola, Gragnola, Monzone, Mommio, S. Terenzo e di rastrellamenti e fucilazioni di partigiani e rappresaglie contro le popolazioni civili.
Perugia 21 marzo 1950
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’ASSISE DI PERUGIA COMPOSTA DAI SIGNORI
VALLERANI dott. CARLO, Presidente
LIBERATI dott. LELIO, Consigliere
BARBIERI PELLEGRINO, Giudice Popolare
GUERRIZIO LUCA, Giudice Popolare
SERAFINI GAETANO, Giudice Popolare
DE FLORENTIIS GAETANO, Giudice Popolare
BALDUCCI FABIO, Giudice Popolare
HA PRONUNCIATO LA SEGUENTE SENTENZA
nel procedimento rimesso a questa Corte per motivi di ordine pubblico
CONTRO
1°) BORDIGONI Fernando fu Alessandro e fu Pucci Teresa nato a Carrara 18 ottobre 1924, domiciliato a Bonascola, Via Casalina n. 21 – Detenuto – Presente.
2°) USSI Elio di Oreste e di Marchi Pamela Quinta Ebe nato a Carrara il 25 novembre 1922 domiciliato a Fossola, Via Moneta n. 40 – Detenuto – Presente
3°) BERNARDINI Vittorio di Francesco e di Ponzanelli Marina nato il 7 marzo1902 ad Ortonovo (La Spezia) residente a Roma Via Ostuni n. 2 (Quarticciolo) – Detenuto – Presente.
4°) DIAMANTI Giuseppe di Oreste e di Baccioli Caterina nato il 18 novembre 1903 a Carrara, domiciliato a Codena Via Santi quattro n. 1 Detenuto – Presente.
5°) CABRINI Carlo fu Antonio e di Maggese Assunta nato a Carrara il 1° giugno 1898 ivi domiciliato Corso Vittorio Emanuele 18 – Detenuto – Presente.
6°) TOMAGNINI Sergio di Francesco e di Soffredini Argia nato a Carrara il 22 febbraio 1889 ivi domiciliato via Lorenzo Bartolini n. 6 – Detenuto – Presente.
7°) BERNARDINI Gino di Francesco e di Ponzanelli Marina nato a Carrara il 4 maggio 1905 residente a Guidonia Via delle Barroce n. 2 – Detenuto – Presente.
8°) BOVANI Alfredo di Modesto e di Pierinelli Irene nato il 6 marzo 1883 a Pistoia domiciliato in Codena di Carrara 3 – Detenuto – Presente.
9°) CEPPELLINI Antonio fu Alviero e di Malloggi Ada nato a Pontremoli 23 giugno 1912 res. a Massa Viale Paladino n. 12 – Detenuto – Presente.
10°) CATTABIANI Galliano fu Giuseppe e fu Santucci Luisa nato a Carrara il 24 ottobre 1898 ivi residente fraz. Avezza [Avenza] Via Aurelia – Detenuto – Presente.
11°) VANELLI Cherubino di Ferdinando e di Fiaschi Settimia nato a Carrara il 27 ottobre 1882 ivi res. Via Domenico Guidi n. 2 – Latitante – Contumace
12°) NICOLAI Renzo anzi Lorenzo Guido di Guido e di Nicolai Argia nato Carrara il 30 novembre 1921 – Domiciliato a Noceto – Detenuto – Presente.
13°) MORACCHINI Gino di Carlo e di Giuliani Adalgisa nato a Carrara il 30 settembre 1887 ivi res. Via R. Angheani n. 22 – Latitante – Contumace.
14°) MANFREDI Giuseppe di Coriolano e di Galli Elira nato a Massa il 6 aprile 1920 ivi res. – Detenuto – Presente.
15°) MANFREDI Italo di Domenico e di Rappelli Giuditta nato a Massa il 30 agosto 1920 ivi res. – Detenuto – Presente.
16°) PISANI Italo di Giuseppe e di Franceschini Adelaide nato a Carrara il 15 settembre 1895 ivi res. – Detenuto – Presente.
17°) MORACCHINI Giorgio di Gino e di Faini Annetta nato a Carrara il 4 luglio 1918 ivi res. – Detenuto – Presente.
18°) MENCONI Ferdinando di Guglielmo e di Cucurnia Andreina nato a Carrara il 7 dicembre 1926 – Detenuto – Presente.
19°) PESELLI Luigi di Orlando e di Del Padrone Ida nato a Carrara il 18 febbraio 1926 ivi res. – Detenuto – Presente.
20°) BERRETTI Angelo di Casimiro e di Ricci Adele nato a Carrara il 3 dicembre 1910 ivi res. – Detenuto – Presente.
21°) MORACCHINI Guglielmo di Gino e di Giuliani Emilia nato a Carrara il 29 marzo 1921 ivi res. – Detenuto – Presente.
22°) TESCONI Giuseppe di Agostino e di Babboni Emilia nato a Carrara il 19 maggio 1900 ivi res. – Detenuto – Presente.
23°) DEL FRATE Giuseppe Emanuele di Primo e di Paoletti Rosa nato a Carrara il 7 aprile 1905 ivi res. – Detenuto – Presente.
24°) PAOLI Alvaro di Paride e di Vinazzani Severina nato a Carrara il 18 agosto 1923 ivi res. – Detenuto – Presente.
25°) PORTA Olinto fu Cipriano e di Deserti Angela nato a Massa il 22 giugno 1899 ivi res. – Detenuto.- Presente.
26°) POLLINA Almo di Francesco e di Zapponi Marina nato a Carrara il 1° febbraio 1916 ivi res. – Detenuto – Presente.
27°) BRIZZI Dario di Carlo e di Orsini Francesco[a] nato a Carrara il 17 gennaio 1902 domiciliato a Isola di Ortoreddo [Ortonovo?] – Latitante – Contumace
28°) MARCHETTI Mario fu Corrado e di Namelli Laudonia nato a Carrara 4 agosto 1904 res. a Torano Via Carriona da Bavaccione [Ravaccione?] 36 – Latitante – Contumace.
29°) PORTA Benito di Olinto e di Fidenti Matilde nato il 7 settembre 1926 ivi res. Miseglie [Miseglia], Via Fantescritti [Fanti Scritti] 5 – Detenuto – Presente
30°) LUCCHINI Benito di Giuseppe e di Olmi Filomena nato a Carrara il 10 novembre 1925 ivi res. Via Baluardo 10 – Latitante – Contumace.
31°) NANA Agostino detto Augusto di Amilcare e di Macchierini Ida nato a Porto Civitanova il 18 ottobre 1923 – Latitante – Contumace.
32°) DE PIETRI Mario di Rodolfo e di Tosi Maria nato a Carrara il 26 aprile 1923 – Detenuto – Presente.
33°) RIDOLFI Gino di Michele e di Micheletti Zoe nato a Carrara il 31 marzo 1902 ivi res. – Detenuto – Presente.
34°) PISANI Mario di Italo e di Canesi Andreina nato a Carrara il 14 settembre 1928 ivi res. Via Perla n. 3 – Libero – Contumace.
35°) GIANNOTTI Aldo di Cesare e di Viviani Concetta nato a Carrara il 17 maggio 1903 ivi res. Via Dante 6 – Latitante – Contumace.
36°) RAFFI Augusto di Carlo e fu Pucci Angela nato a Massa il 4 luglio 1896 ivi res. Via Mirteto Alto 97 – Latitante – Contumace.
37°) RAFFI Pietro di Antonio e di Fiorentini Angela nato a Massa il 12 giugno 1918 ivi res. via E. Chiesa 15 – Latitante – Contumace.
38°) BERTIERI Renato di Ottaviano e di Rolla Ambrogia nato a Carrara 11 settembre 1907 ivi res. – Detenuto – Presente.
39°) BICHI Anastasio di Eugenio e di Verona Palma nato a Stazzema (Lucca) il 23 marzo 1895 – Detenuto – Presente.
40°) BIGARANI Loris di Riccardo e di ignota nato a Carrara il 22 aprile 1927 – Detenuto – Presente.
41°) CAPITANI Paris di Giuseppe e di Fabiani Maria nato a Carrara il 12 novembre 1908 – Detenuto – Presente.
42°) CIAMPI Ruggero di Michele e di Pagni Giuseppina, nato a Uzzano (Pistola) il 19 maggio 1904 – Detenuto – Presente.
43°) GHELFI Quirino di Guglielmo e di Focola Maria nato a Mulazzo il 27 marzo 1919, ivi residente località Ponte S. Giuseppe – Latitante – Contumace.
44°) MERLINI Nando Almo di Almo e di Giardini Filomena nato a Carrara il 1° settembre 1926, ivi residente Via Roma 2 – Latitante – Contumace.
45°) MORELLI Pietro di Ezio e di Muracchioli Amelia nato a Carrara il 27 agosto 1925, ivi residente Via Roma 3 – Arrestato il 3-10-49 – Presente.
46°) PERESEMPIO Silvano di ignoto e di Peresempio Giulia nato a Roma il 12 maggio 1928 – Detenuto – Presente.
47°) PIOLANTI Guglielmo fu Alessandro e di Forlani Enrichetta nato a Sarzana il 20 febbraio 1894 – Detenuto – Presente.
48°) RIVANO Giovanni fu Giorgio e fu Vallebona Vittoria nato a Carloforte (Cagliari) il 19 maggio 1894 – Latitante – Contumace.
49°) BOMBARDA Guido di Corrado e di Sassetto Nicolina nato a Carrara il 1° gennaio 1922 – Latitante – Deceduto.
50°) MASETTI Italo Ugo Gino di Giuseppe e di Gerini Ginevra nato a Carrara il 7 maggio 1901, ivi residente, Codena Via Casalecchia 1 – Latitante – Contumace.
51°) DELL’AMICO Augusto Massimo Vittorio di Massimo e di Morelli Angela nato a Carrara il 4 maggio 1901 – Detenuto – Presente.
52°) LUCCHINI Giuseppe fu Pietro di Cargiolli Rosa nato a Fosdinovo il 19 aprile 1883, residente a Carrara – Latitante – Contumace.
53°) ASSUNGIA Gualtiero detto [di] Pietro e di Ridolfi Argentina nato a Carrara il 31 agosto 1923, ivi residente Via Colonnata 3 – Latitante.
54°) BERTINI Giovanni di Beniamino e di Lucchesi Agata nato a Carrara il 17 dicembre 1904, residente a Codena Salita Poggio 10 – Latitante – Contumace.
55°) RATTI Lido di Ferdinando Nicola e di Mazzoni Andreina nato a Carrara il 19 aprile 1924, ivi residente: Fossola Via Agricola 62 – Libero – Contumace.
56°) POLI Cesare di Pietro e di Battaglia Prisca nato a Carrara il 25 febbraio 1904, elettivamente domiciliato in Roma Via Federico Cesi 21 presso avv. Mancuso – Libero – Presente.
57°) BENGHI Osvaldo Eligio di Agostino e di Chinca Emilia nato a Fivizzano il 7 febbraio 1916, ivi residente – Libero – Contumace.
58°) BRAGAZZI Giovanni fu Sante e di Bertoni Aldeconda nato a Carrara il 19 settembre 1902 – Detenuto – Presente.
59°) FABIANI Corinno di Zeffiro e di Montani Nella nato a Fivizzano il 1° settembre 1915 – Detenuto – Presente.
60°) PENSIERINI Andrea di Umberto e di Giuntoni Silvia nato a Carrara il 17 dicembre 1924 – Detenuto – Presente.
61°) FIALDINI Mario di Pietro e di Giannetti Elisa nato il 22 giugno 1927 a Massa – Detenuto – Presente.
62°) ALOISI Giuseppe fu Vittorio e Aloisi Amalia nato il 5 dicembre 1896 a Pisa – Detenuto – Presente.
63°) DELL’AMICO Andrea fu Ercole e di Lorenzetti Aldeconda nato il 13 settembre 1896 in Carrara – Detenuto – Presente.
64°) DELL’AMICO Linda Veneranda di Eugenio e Dell’Amico Maria nata 1’8 aprile 1909, in Carrara – Detenuta – Presente.
IMPUTATI
I PRIMI SESSANTA, ad eccezione del BRAGAZZI Giovanni per la imputazione di cui alla lettera (A) (collaborazionismo):
a) del reato dei cui all’art. 5 D.L.L. 22-7-1944 in relazione all’art. 51 C.P.M.G. per avere posteriormente all’8 settembre 1943 e fino all’aprile 1945, nel territorio della provincia di Apuania e nel Nord Italia, collaborato col tedesco invasore partecipando assieme con esso, in qualità di militari delle Brigate Nere, ad azioni di rastrellamento contro i partigiani e di rappresaglia contro le popolazioni civili ed in particolare a quella di Vinca e dintorni:
b) del reato di cui agli art. 11-110-81-422 C. P. per avere, in Vinca, Equi, Gragnola, Monsone [Monzone] e frazioni viciniori (Apuania) nei giorni 24-25 e 26 agosto 1944, in concorso con i militari tedeschi e delle brigate nere compiuto, per fini fascisti, ed avvalendosi della situazione creata dal fascismo, atti che posero in pericolo la pubblica incolumità in quelle frazioni e dai quali derivò la morte di circa duecento persone;
c) del reato di cui agli art. 110-81-419-423-425 n. 2-638 C. P. per avere, per fini fascisti, e valendosi della situazione creata dal fascismo, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di cui alla lettera b), saccheggiato ed incendiato in concorso con militari tedeschi, vari edifici ed ucciso capi di bestiame, soli ed in mandrie, asportando masserizie ed oggetti vari.
Il BORDIGONI Fernando – USSI Elio.
del reato di cui agli art. 81-110-575-577 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso fra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di SPAGNOLI Giuseppina, VENTURA Angelina, BUSSO Alpinio ed altre 11 persone, agendo contro i medesimi con crudeltà, e commettendo il fatto per motivi fascisti, in Vallo di Vinca il 25 agosto 1944.
BRAGAZZI Giovanni – BERNARDINI Vittorio – DIAMANTI Giuseppe:
a) del reato di cui agli art. 81, 110, 575, 577 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di anni da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di VENTURI Minerva ed altre persone non identificate, agendo contro i medesimi con crudeltà e commettendo i fatti per motivi fascisti, in Prada di Vinca ed altre località viciniori il 25 agosto 1944;
b) del reato di cui agli art. 81, 110, 575 ,577 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di sei persone tra cui un bambino; in Costa e Acqua Bomba di Vinca il 20 agosto 1944 [leggi 25 agosto 1944];
FABIANI Cosimo [Corinno] – BRAGAZZI Giovanni:
a) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 in relazione all’art. 61 n. 4 del C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di MATTEI Girolamo in Canal d’Arco di Vinca il 25 agosto 1944;
b) del reato di cui agli art. 81,110, 575, 577 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di COLONNATO Livio, BATTAGLIA Lorenzo ed il di lui figlio, BONI Alba, MATTEI Paolina ed altre persone, in Orti e frazioni vicine. Vinca 25 agosto 1944;
BRAGAZZI Giovanni – DIAMANTI Giuseppe – FABIANI Corinno – CABRINI Carlo:
del reato di cui agli art. 110 – 575 – 577 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso fra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di un ragazzo di due anni rimasto sconosciuto. In Vinca 25 agosto 1944;
FABIANI Corinno:
del reato di cui agli art. 81, 110, 575, 577 n. 3 C. P. per avere ucciso, in concorso con militari tedeschi, ROSSETTI Anacleto, VALLERINI Armando e LAMBRUSCHI Mario, che avevano prelevato dalle loro abitazioni, facendo uso di armi da fuoco. Il 24 agosto 1944 in Gragnola.
DIAMANTI Giuseppe:
del reato di cui agli art. 110, 575, 577 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di COLONNA Romano fu Pellegrino in località Balzone di Vinca il 24 agosto 1944;
BERNARDINI Vittorio:
del reato di cui agli art. 110, 575, 577 in relazione all’art. 61 n. 4 per avere, in concorso con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionata la morte di BORZANI Camillo in Canale Pioppi il 25 agosto 1944;
TOMAGNINI Giovanni [anche, Sergio]:
del reato di cui agli art. 110, 575, 577 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere in concorso con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di MARCHI Alfierina il 24 agosto 1944 in Vinca.PenPENSIERINI Andrea:
a) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso con militari tedeschi ed italiani, facendo uso di armi da fuoco e bombe a mano, cagionato la morte di una giovane donna rimasta sconosciuta; il 24 o 25 agosto 1944 in Vinca;
b) di furto aggravato ai sensi degli art. 624, 61 n. 5 e 61 n. 7 C. P. per essersi impossessato di L. 30.000 e di un anello d’oro in danno della persona di cui sopra il 24 o 25 agosto 1944 in Vinca.
Il BRAGAZZI inoltre del reato di cui all’art. 575 C. P. per avere in Carrara, il 15 agosto 1944, comandato il plotone di esecuzione che procedette alla fucilazione del partigiano LORI Oreste.
PORTA Olinto, PORTA Benito, FIALDINI Mario, BOVANI Alfredo, ALOISI Giuseppe:
a) del reato di cui all’art. 5 D. L. L. 27 luglio 1944 n. 159, per avere, in territorio della provincia di Apuania, posteriormente all’8 settembre 1943 e sino all’aprile 1945, collaborato coi tedeschi invasori prendendo parte, in unione con essi ed in qualità di appartenenti alle brigate nere, ad azioni di guerra contro partigiani e di rappresaglia contro popolazioni civili, durante le quali, particolarmente in Vinca, Mommio e S. Terenzio, venivano uccise persone di ogni età, incendiate e saccheggiate case e rastrellato bestiame;
b) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 3 C. P. per avere, in concorso con altri, agendo per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo, cagionato con premeditazione la morte di LORI Oreste, facendo parte il BOVANI e l’ALOISI del Tribunale improvvisato che ebbe a condannare a morte il LORI e tutti gli altri del plotone che procedette alla fucilazione. In Carrara il 15-8-1944.
DIAMANTI Giuseppe, MASETTI Italo, CAPITANI Paris, DELL’AMICO Augusto, CIAMPI Ruggero, DELL’AMICO Linda, DEL FRATE Giuseppe e DELL’AMICO Andrea:
a) del reato di cui all’art. 5 D. L. L. 27 luglio 1944 n. 159 in relazione all’art. 51 C. P. M. G. per avere, posteriormente all’8 settembre 1943 e fino all’aprile 1945, nel territorio della provincia di Apuania e nel Nord Italia collaborato col tedesco invasore, partecipando insieme con esso, in qualità di militare delle brigate nere, ad azioni di rastrellamento contro i partigiani e di rappresaglia contro le popolazioni civili;
b) del reato di cui agli art. 110, 422 C. P. per avere, in Bergiola Foscalini [leggi Foscalina] di Carrara il 16 settembre 1944, in concorso tra loro e con militari tedeschi, compiuto, per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo, atti che posero in pericolo la pubblica incolumità in quella frazione e dai quali derivò la morte di numerose persone;
c) del reato di cui agli art. 110, 423, 425 n. 2 C. P. per avere, per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo, nelle stesse circostanze di cui alla lettera b), cagionato, in concorso tra loro e con militari tedeschi, l’incendio di vari edifici nell’abitazione di Bergiola di Carrara.
DIAMANTI Giuseppe e MASSETTI [leggi MASETTI] Italo, inoltre:
a) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco, di bombe a mano e di piastrine incendiarie, cagionato la morte di DELL’AMICO Angelo agendo contro il medesimo con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola di Carrara il 16-9-1944;
b) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco, di bombe a mano e di piastrine incendiarie, cagionato la morte di DELL’AMICO Filomena, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Borgiola [leggi Bergiola] Foscalina di Carrara il 16 settembre 1944;
c) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco, bombe a mano e piastrine incendiarie, cagionato la morte di DINELLI Ernesto, agendo contro il medesimo con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata.dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 18 [leggi 16] settembre 1944;
d) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco, bombe a mano e piastrine incendiarie, cagionato la morte di DINELLI Angelo, agendo contro il medesimo con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16-9-1944;
e) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco, bombe a mano e piastrine incendiarie, cagionato la morte di ATTUONI Giuseppina, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16 settembre 1944;
f) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco, di bombe a mano e di piastrine incendiarie, cagionato la morte di ATTUONI Arnaldo agendo contro il medesimo con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Borgiola [leggi Bergiola] Foscalina di Carrara il 16 settembre 1944;
g) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco di bombe a mano e di piastrine incendiarie cagionato la morte di ATTUONI Angelo, agendo contro il medesimo con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16-9-1944;
h) del reato di cui agli art. 110, 582 e 583 u. p. 585 u.p. C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, cagionato mediante colpi di armi da fuoco per gli stessi motivi e nelle stesse circostanze di cui alle lettere precedenti, lesioni personali in persona di DELL’AMICO Dina, dalle quali derivò a costei la perdita di un arto inferiore. In Borgata [leggi Bergiola] Foscalina di Carrara il16-9-1944;
i) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano e di piastrine incendiarie, cagionato la morte di DELL’AMICO Argenia, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Borgiola [leggi Bergiola] di Carrara il 16 settembre 1944;
1) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano e di piastrine incendiarie, cagionato la morte di DEL FRATE Alessandro, agendo contro il medesimo, con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola di Carrara il 16 settembre 1944;
m) del reato agli art, 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco, di bombe a mano e di piastrine incendiarie, cagionato la morte di DEL FRATE Andreina, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16 settembre 1944;
n) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n, 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di anni da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di DELL’AMICO Albina agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola di Carrara il 16 settembre 1944;
o) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di RICCI Adele, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16 settembre 1944;
p) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di DELL/AMICO Lucia, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola di Carrara il 16 settembre 1944;
q) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso tra loro e con militari tedeschi, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di DELL’AMICO Gina, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per motivi fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16 settembre 1944;
DIAMANTI Giuseppe, inoltre:
a) del reato di cui agli art. 63,146 pp e capv C. P. 1889, per avere in concorso con altre persone non identificate, per fini fascisti, privato illegittimamente TOMAGNINI Ferdinando della propria libertà personale, usando contro il medesimo sevizie e minacce in Carrara dal 21 al 24 luglio 1921;
b) del reato di cui agli art. 63, 154 p. p. 1° capv C. P. 1889, per avere usato violenza e sevizie in persona di TOMAGNINI Ferdinando per costringerlo a sottoscrivere un foglio in bianco, agendo per motivi fascisti in concorso con altre persone non identificate e conseguendo l’intento. In Carrara il 24 luglio 1921;
c) del reato di cui agli art. 63, 372 cpv n. l C. P. 1889, per avere, in concorso con altre persone non identificate e senza il fine di uccidere, per fini fascisti, cagionato a TOMAGNINI Ferdinando lesioni personali dalle quali derivò malattia guarita in giorni 75. In Carrara dal 21 al 24 luglio 1921;
d) del reato di cui agli art. 63,146 p.p. cpv 1° C.P. 1883, per avere, in concorso con altre persone non identificate, per fini fascisti, privato illegittimamente MACCHIARINI Alfiero della propria libertà personale, usando contro il medesimo sevizie e minacce. In Carrara dal 21 al 24 luglio 1921;
e) del reato di cui agli art. 63, 154 p. p. cpv 1° C. P. 1889, per avere, in concorso con altre persone non identificate e per fini fascisti, usato violenza e sevizie in persona di MACCHIARINI Alfieri [Alfiero] per costringerlo a sottoscrivere un foglio in bianco, conseguendo l’intento. In Carrara il 24 luglio 1921;
MASETTI Italo, inoltre:
a) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso con militari tedeschi ed altri militari delle brigate nere, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di DELL’AMICO Ida, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola di Carrara il 16 settembre 1944;
b) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso con militari tedeschi e con altri militari delle brigate nere, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di LOMBARDINI Bruno, agendo contro il medesimo con crudeltà e commettendo il fatto per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola di Carrara il 16 settembre 1944;
c) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso con militari tedeschi ed altri militari delle brigate nere, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di DELL’AMICO Giuseppa, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola di Carrara il 16 settembre 1944;
d) del reato di cui agli art. 582, 585, u.p. C. P. per avere, mediante arma da fuoco, cagionato al proprio cognato MARINI Aurelio lesioni personali che produssero malattia per giorni. In Carrara in un giorno imprecisato del mese di luglio 1944;
e) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 4 in relazione all’art. 61 n. 4 C. P. per avere, in concorso con militari tedeschi ed altri militari delle brigate nere, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di DELL’AMICO Ernesta, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16 settembre 1944;
f) del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n.4 in relazione all’art. 61 n.4 C. P. per avere, in concorso con militari tedeschi ed altri militari delle brigate nere, facendo uso di armi da fuoco e di bombe a mano, cagionato la morte di DELL’AMICO Margherita, agendo contro la medesima con crudeltà e commettendo il fatto per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16 settembre 1944;
g) del reato di cui agli art. 582, 583, 585 C. P. per avere, mediante lancio di bombe a mano, cagionato a DELL’AMICO Epaminonda lesioni personali guarite in giorni [spazio bianco] e dalle quali residuò la [spazio bianco] commettendo il fatto per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo. In Bergiola Foscalina di Carrara il 16-9-1944;
h) del reato di cui agli art. 110, 628 u.p. n.° 1 ipot. 1° e 3° C. P. per essere in concorso con altre persone non identificate, mediante minaccia con arma, impossessato di biancheria, indumenti ed oggetti preziosi per un valore complessivo di Lire 300.000 in danno di ZACCAGNA Argia e CALAFO Mosè. In Bergiola di Carrara la notte del 24 agosto 1944;
i) del reato di cui agli art. 110, 422 C. P. per avere, in Vinca di Monzone nei giorni 24, 25 e 26 agosto 1944, in concorso con militari tedeschi e delle brigate nere, compiuto per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo, atti che posero in pericolo la pubblica incolumità in quella frazione e dai quali derivò la morte di circa 70 persone. (Imputazione ripetuta).
l) del reato di cui agli art. 110, 423, 425 n. 2 C. P. per avere, per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo, nelle stesse circostanze di cui alla lettere a), cagionato, in concorso con militari tedeschi e delle brigate nere, l’incendio di vari edifici nell’abitato di Vinca. (Imputazione ripetuta).
DEL FRATE Giuseppe e MASETTI Italo, inoltre:
del reato di cui agli art. 110, 575, 577 n. 3 C. P. per avere in concorso con altri militari delle brigate nere, agendo per fini fascisti e valendosi della situazione creata dal fascismo, cagionato la morte di LORI Oreste, facendo parte del plotone di esecuzione che procedette alla fucilazione del medesimo. In Carrara il 15 agosto 1944.
Con costituzione di parte civile di:
1) DESTI Virginia ved. Lori fu Oreste di anni 50 da Carrara Località Canaglie [Canalie], Via Costa.
2) DELL’AMICO Carlo fu Federico di anni 64 da Pisa elettivamente dom. in Genova, Via XX Settembre 14-26 presso lo studio dell’Avv. Carlo Zacchia.
3) DELL’AMICO Italo di Dante di anni 22 da Carrrara elettivamente dom. in Genova, Via XX Settembre 14-26 presso lo studio del Proc. Eiso [Elso] Colonna.
4) DELL’AMICO Pietro fu Romeo di anni 38 da Bergiola di Carrara elettivamente dom. in Genova, Via XX Settembre 14-26 presso lo studio dell’Avv. Carlo Zacchia.
5) DELL’AMICO Guglielma fu Anselmo e fu Dell’Amico Adele di anni 43 da Bergiola di Carrara elettivamente dom. in Genova, Via XX Settembre 14-26 presso lo studio dell’Avv. Carlo Zacchia.
6) DELL’AMICO Orazio fu Eusebio di anni 67 da Bergiola di Carrara elettivamente dom. in Genova, Via XX Settembre 14-26 presso lo studio dell’Avv. Elso Colonna.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto:
Tre sono i fatti sui quali la Corte deve portare il proprio esame: in ordine cronologico – la fucilazione del partigiano Lari [Lori] Oreste, eseguita in Carrara il 15 agosto 1944; la rappresaglia contro le popolazioni civili di Vinca e dintorni, durata dal 24 al 27 agosto 1944; e la rappresaglia contro la popolazione civile di Bergiola Foscalina, effettuata il 16 settembre 1944.
Lari [Lori] Oreste aveva fatto parte della milizia repubblichina eppoi aveva disertato arruolandosi coi partigiani che operavano sui monti, cioè sulle Alpi Apuane. Il 15 agosto 1944, essendosi spinto incautamente, insieme con la fidanzata, fino alla località Canalie, fu riconosciuto da due militi della brigata nera di Carrara, i quali lo catturarono e lo accompagnarono al Colombarotto, sede della brigata. Ivi un Tribunale improvvisato condannò a morte il Lori, che alle ore 21 fu trasportato, mediante un autocarro sul quale prese posto il plotone di esecuzione, alla Casa del Ballila, nel cortile della quale il Lori venne fucilato, alla presenza del sacerdote Don Pietro Vitali, teste insospettabile, che riferisce l’accaduto.
Le azioni su Vìnca Bergiola costituiscono due dei più gravi episodi della collaborazione nazi-fascista.
La sera del 23 agosto 1944 giunse a Carrara un ufficiale superiore delle S. S. germaniche, il quale adunò in una stanza del Comando tedesco tutti gli ufficiali tedeschi e poscia conferì col colonnello Giulio Lodovici, federale di Carrara e vicecomandante di quella brigata nera, all’uopo convocato per telefono. Al Lodovici, reduce da una azione contro partigiani al Ponte di Vara, fu chiesto se era disposto a partecipare ad un’altra azione ed egli rispose affermativamente.
Gli fu poi domandato di quanti uomini poteva disporre ed egli replicò – di un centinaio.
Ad altra domanda precisò che i suoi dipendenti potevano essere pronti entro un’ora.
Il comandante tedesco ordinò quindi al Col. Lodovici di trovarsi pronto per la mezzanotte, significandogli che la partenza sarebbe avvenuta in due scaglioni: l’uno appunto alla mezzanotte e l’altro alle due del mattino.
L’interprete Riedler, che fa questo racconto, dice che non fu allora precisato a quale azione i brigatisti fossero chiamati a partecipare.
Avvenne così che, nelle prime ore del 24 agosto, colonne di automezzi tedeschi e italiani s’incamminarono verso la Valle del Lucido, sino a raggiungere Gragnola. Monzone, Vinca e dintorni, da cui fecero ritorno a Carrara soltanto il 26 o il 27 agosto.
Precedevano i tedeschi, che a Gragnola rastrellarono una cinquantina di civili, uccidendone otto o nove, e distrassero quattro case; e a Monzone Alto bruciarono il paese. Il Col. Lodovici, sopraggiunto a Gragnola coi brigatisti, intervenne a favore dei rastrellati, una trentina dei quali furono mantenuti sotto vigilanza il 24 agosto e poi scortati, il 25, a Carrara, da cui la maggior parte potè ritornare al paese di residenza, mentre cinque soltanto furono deportati in Germania.
A Monzone Basso vi fu un’altra persona (Poli Alberto) ucciso da un soldato tedesco avvinazzato, ma gli eccidi veramente disumani seguirono a Vinca, miserando paese, che fu devastato e saccheggiato, incendiato e distrutto insieme con quasi tutti gli abitanti, essendo scampati alla strage solamente taluni di coloro che poterono darsi alla fuga tra i boschi e le montagne.
I morti di Vinca furono quasi duecento, tra cui ventinove donne e bambini uccisi con mitraglia e bombe a mano in un chiuso denominato Mandrione; una bimba di due mesi (Battaglia Nunziatina) uccisa al volo dopo essere stata lanciata in aria; una donna (Papa Ercolina) uccisa, poi denudata e impalata; una donna incinta (Marchi Alfierina) uccisa e poi squartata, una vecchia sessantacinquenne bruciata viva con lanciafiamme (teste Marchi Ilma); due vecchi bruciati vivi nelle loro case date alle fiamme (Boni Silvio e Mattei Paris); un cieco della prima guerra mondiale abbattuto mentre tentava di nascondersi in un campo prossimo all’abitato; altre donne uccise malgrado avessero invocato pietà.
Gli autori di così efferate carneficine asportarono dallo sventurato paese camion di roba, parte della quale gettarono nel fiume (teste Pinelli Paolina e Micheli Lina); e diversi brigatisti tornanti da Vinca furono notati in possesso di asciugamani, lenzuola e biancheria e oggetti casalinghi (teste Croci Alfredo). Per condurre a termine la spietata rappresaglia furono bloccate le strade d’accesso tutt’intomo al paese (teste Giananti Palmiro).
La notizia della strage si propalò a Carrara fin dal pomeriggio del 24 agosto (M.llo di P. S. Bucassi) e nello stesso pomeriggio, a Gragnola, la teste Orlandini Miranda apprendeva sul luogo dove erano i rastrellati custoditi da brigatisti che Vinca, dove aveva lasciato i suoi figli, era in fiamme.
L’azione su Bergiola si svolse rapidamente nel pomeriggio del 16 settembre e protagonisti ne furono pure i tedeschi, ma vi parteciparono indubbiamente elementi della brigata nera di Carrara.
A Bergiola furono incendiate una quindicina di case e trucidate una novantina di persone (donne, vecchi e bambini) la maggior parte delle quali fu prima indotta o costretta a raccogliersi nel palazzo delle scuole, dove poi venne sterminata con una mitragliatrice piazzata sopra una vicina altura, con altre armi da fuoco e con bombe a mano.
Ambedue le azioni di rappresaglia furono precedute da scontri con partigiani, che avevano costato [erano costati] la vita a brigatisti e Tedeschi; ma il movente essenziale va probabilmente ricercato, come attesta il commissario di P. S. Scalamaga [in altri documenti Scalamagi], in ordini di carattere generale del Comando tedesco, tendenti ad eliminare le forze partigiane della Linea Gotica.
L’esistenza di attività partigiana nella zona di Vinca, era stata segnalata da un certo Battaglia – non meglio identificato – all’Ufficio politico investigativo della brigata nera di Carrara, come informa il M.llo dei CC, Banti.
Bergiola era ritenuta incetto di partigiani; e sembra che la mattina del 16 settembre un tedesco fosse stato ucciso alla Foce, località poco distante da Bergiola.
Tali essendo i fatti, conviene anzitutto precisarne la definizione giuridica, modificando in parte il capo d’imputazione. Il collaborazionismo, invero, si presenta quale collaborazione politica col tedesco invasore, perché scopo precipuo delle rappresaglie, esercitato contro deboli ed inermi, da non potersi confondere con le forze partigiane, fu quello di terrorizzare le popolazioni per consolidare la vacillante posizione del nemico, non già di mandare ad effetto un’azione di guerra indiscriminata, come vorrebbe uno dei difensori degli imputati. Non può dimenticarsi – del resto – che la collaborazione di cui si tratta fu già definita politica, da questa Corte di Assise, nel processo a carico del Col. Lodovici, conclusosi con l’assoluzione del’imputato (sentenza 29 novembre 1948).
Può dirsi poi jus receptum [corsivo nostro] che il collaborazionismo, lungi dall’assorbire gli altri reati, concorre formalmente con essi. E tali reati sono nella specie la strage continuata anche a mezzo d’incendio, nonché la devastazione e il saccheggio. Quanto alla strage basta osservare che la finalità d’uccidere più persone è resa evidente dalla causale e dalle modalità dei fatti, rivelatrici appunto d’una volontà di sterminio; gli atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità si concretano nell’uso di mezzi che conferiscono all’azione criminosa quel carattere di diffusibilità del danno alle persone che è fondamentale nei delitti di comune pericolo mediante violenza (mitra, mitragliatori, bombe, lanciafiamme, incendi); la morte di più persone è purtroppo un fatto storicamente acquisito.
Un medesimo disegno criminoso anima e collega le stragi di Vinca e di Bergiola, che perciò vanno unificate sotto il titolo di strage continuata, la quale assorbe le imputazioni di omicidio e di lesioni. Infatti il titolo d’omicidio non può concorrere con quello di strage, sia che la morte di più persone si consideri circostanza aggravante, sia che la morte stessa si ritenga elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 422 C. P. (art. 84 C. R).
Anche gli estremi della devastazione e del saccheggio sono facilmente ravvisabilli nei fatti di Vinca, che fu resa deserta dall’opera distruggitrice e messa a sacco attraverso una vasta e ripetuta attività criminosa su beni mobili ed immobili ed animali, attività che indubbiamente scosse nella collettività umana presa di mira la sicurezza della difesa giuridica dei propri beni, turbando e ledendo nel modo più radicali l’ordine pubblico. Il saccheggio pure è reato complesso ed assorbe il furto ascritto ad uno degli imputati.
L’uccisione del partigiano Lori costituisce il delitto di omicidio, dal quale va tuttavia esclusa la premeditazione essendo la fucilazione avvenuta m base ai bandi allora vigenti e non risultando pertanto l’elemento psicologico caratterizzato dal dolo di proposito da parte di chi applicò quei bandi, senza che nell’animo suo fosse sorta spontanea e fosse poi maturata l’idea criminosa.
Essendo i giudicabili chiamati e rispondere dei delitti comuni a titolo di concorso, giova, a questo punto, soggiungere che «per aversi concorso nel reato è necessario che il colpevole rechi alla produzione dell’evento un proprio contributo, che dal punto di vista fisico o materiale e da quello psicologico si trovi collegato dall’evento stesso con un rapporto di causa ad effetto. Codesto contributo può essere materiale o morale, agire in varie forme sul soggetto passivo e sugli esecutori del reato, ma in ogni caso esso deve essere efficiente, deve cioè aggiungere qualche cosa al complesso delle forze fisiche e psichiche che determinano la produzione dell’evento». (Cass, pen., II, 3 nov. 1949).
Alla stregua di queste premesse verrà esaminata la posizione dei singoli imputati. Ma per abbreviare la disamina è opportuno anteporre qualche considerazione generale sull’origine della accusa e sull’attendibilità delle prove, essendosi specialmente su questi argomenti attardata la difesa dei prevenuti.
Che l’accusa non sia sospettabile per tardività è dimostrato da due rilievi. Risulta infatti dai processi minori allegati al processo formale che Masetti Italo fu denunciato dal 30 agosto 1945, Fabiani Corinno dal 29 ottobre 1945 e Bragazzi Giovanni dal 20 gennaio 1946. Risulta inoltre che fin dal 21 maggio 1946, Battaglia Semideo – padre della bimba uccisa al volo – esibì al Commissariato di P. S. di Carrara un elenco di brigatisti neri ritenuti partecipi dell’azione su Vinca. Tale elenco era stato formato dal sottocomitato partigiano di liberazione sulla base di tre elenchi distinti, che erano stati rinvenuti a Vinca dal Battaglia e da altri del paese, momentaneamente rientrati per seppellire o bruciare i morti, durante i giorni della strage.
Il commissario Scalamogna [leggi Scalamagi o Scalamaga] riferisce che le prime investigazioni condotte in base al detto elenco e dirette alla identificazione dei nominativi in esso contenuti non approdarono a risultati positivi, mentre ulteriori indagini, da lui riprese, furono coronate da successo. È verisimile che gli elenchi trovati a Vinca corrispondano al cosiddetto «ruolino di marcia» dei brigatisti che operavano in quello che fu l’epicentro della rappresaglia; ma non va comunque dimenticato (a sfatare l’insinuazione secondo cui l’elenco affidato al Commissariato di P.S. avrebbe influito in modo decisivo sulla individuazione dei presunti rei) che solo alcuni dei nomi dei denunciati figurano sull’elenco medesimo, mentre altri – come il Bragazzi e il Fabiani – non vi sono compresi.
L’asserito ritardo va d’altronde messo in relazione con le anormali condizioni degli uffici nel dopoguerra e col fatto che i sospettati, tornati dopo la Liberazione dal nord d’Italia a Carrara, erano quasi riusciti ad assicurarsi un alibi d’innocenza attraverso garanzie fatte loro in buona fede da partiti politici e da organizzazioni partigiane – come risulta dal rapporto del Commissario Scalamogna.
Contro questi e contro l’agente Feria, che lo coadiuvò, si sono scagliati parecchi dei giudicabili durante gli interrogatori resi al dibattimento; ma al cospetto dei funzionari, che hanno deposto dinanzi alla Corte, le temerarie insinuazioni sono svanite, insieme con la falsa allegazione che l’agente Feria avesse avuto un fratello ucciso dai tedeschi.
Gli strali della difesa si sono particolarmente appuntati contro le chiamate di correi fatte dall’imputato Moracchini Giorgio, definito pazzo epperciò inattendibile. Dal foglio di proposta a rassegna, che lo riguarda, risulta in realtà che egli fu riformato, nel 1940, perché riconosciuto affetto da psicosi depressiva con spunti ossessivi.
Dallo stesso documento si apprende peraltro ch’egli fu riconosciuto molto sincero ed immune da errori ideativi, quantunque suggestionabile per debolezza del potere volitivo.
Il Moracchini assume d’aver accusato per essergli stata promessa la libertà: cosa smentita dal Commissario Scalamogna. Dall’esame degli atti si evince che il Marchesini [Moracchini] fece molteplici accuse in sede di polizia giudiziaria; rettificò parzialmente durante l’istruttoria e ritratta all’udienza, come tutti gli altri imputati, che, al pari di lui, avevano incolpato questo o quel coimputato. Tutto ciò induce a concludere che le dichiarazioni di Moracchini Giorgio vanno accolte cum grano salis [corsivo nostro]. Ma, oltre le accuse del Moracchini, vi sono, come si è detto, quelle degli altri imputati, che hanno, sì, ritrattato al dibattimento, ma non sono stati indotti a sospetto per alienazione mentale; e vi sono, soprattutto, le deposizioni delle persone offese e dei testimoni. Non potendo dissimularsi la gravita di tali deposizioni, la difesa ha brillantemente sostenuto trattarsi di accuse, le quali emergono oggi dal subcoscente, sotto l’incubo perdurante del dolore sofferto, e non rispecchiano una certezza acquisita dal tempo in cui si svolsero i fatti.
Ma è chiaro che la tesi difensiva, lungi dall’essere dimostrata, è in contrasto coi premessi rilievi circa la genesi dell’accusa e con le conquiste della psicanalisi; mentre è conforme a ragione pensare che le scene, davvero impressionanti, siano impresse a caratteri indelebili nella memoria degli scampati alle stragi.
Passando dunque a considerare la posizione di ciascun imputato a seconda delle risultanze del dibattimento, durante il quale tutte le prove sono state sottoposte al vaglio più scrupoloso, la Corte osserva quanto segue:
1°) Bordigoni Fernando milite: Ammise, nel periodo istruttorie, d’essersi trattenuto, durante tutti i giorni della rappresaglia, presso la fontana di Vinca e alcuni coimputati confermarono la sua partecipazione. Non solo Moracchini Giorgio, bersagliato dalla difesa, ma anche Pollina Alma [Almo] disse che il Bordigoni serviva le munizioni ai militi operanti. Al dibattimento il Bordigoni ha asserito d’essere rimasto a guardia di automezzi, presso una fontana distante circa dieci chilometri da Vinca; ma il mendacio è evidente sol che si consideri come da Vinca a Monzone corrano cinque chilometri e da Monzone a Gragnola quattro chilometri (teste Scalamogna), per cui l’imputato non sarebbe giunto neppure a Gragnola e non avrebbe certo potuto parlare della fontana di Vinca. La menzogna sta solo a denotare lo sforzo del Bordigoni d’allontanare la propria responsabilità, che risulta comprovata dal deposto Mariani Samuele, il quale, il 25 agosto 1944, dal suo nascondiglio lungo il torrente Lucido, vide una pattuglia di sei brigatisti neri armati e udì chiamare ripetutamente «Bordigoni» e dire «guarda in quel cespuglio, guarda in quell’altro». Sentì poi che vennero scoperte tre donne, contro le quali i detti brigatisti spararono; ed il teste medesimo rinvenne, il giorno 27, i cadaveri delle disgraziate.
Il Bordigoni dunque, il cui nome figura nel suddetto elenco e la cui identificazione scaturisce dalla sua stessa ammissione, inettamente ritrattata, d’essere andato a Vinca, oltreché dalla corrispondenza del cognome, non comune ad altri brigatisti intervenuti, è colto nell’atto in cui dava, con altri suoi pari la «caccia all’uomo» in quello che è stato già definito l’epicentro della strage; e da tale operato apparisce [appare] il [sic!, da togliere] manifesto il concorso materiale e morale nel delitto di strage continuata.
Circa la devastazione e il saccheggio la prova non appare sufficiente, riducendosi alla generica notizia che brigatisti reduci da Vinca furono visti in possesso di cose asportate.
Il collaborazionismo è fuori di discussione.
2°) Bragazzi Giovanni sergente: è accusato di partecipazione ai fatti di Vinca e all’omicidio Lori, escluso il collaborazionismo, da cui fu amnistiato.
In istruttoria negò, adducendo un alibi a Verona; ma fu incolpato da vari coimputati, due dei quali ritrattarono. Moracchini Giorgio dichiarò in principio che il Bragazzi (insieme con Diamanti, Fabiani e Calvini) uccise bestialmente un bambino lanciato in aria: cosa confermata dallo stesso Moracchini davanti al G.I.
Dodici testimoni, trovatisi presso i luoghi degli eccidi, sentirono chiamare un brigatista col nome di «Giovanni» ed altri due testi – Achilli Avito e Spagnoli Vanda – udirono anche il cognome di «Bragazzi». L’Achilli depose d’aver anche sentito il Bragazzi dare indicazioni al Fabiani, dicendogli: «Spara là, spara là!».
Altri due testi – Benelli Agelio e Battaglia Orazio – deposero che, due giorni prima dell’eccidio, il Bragazzi aveva sparato dal Monte Sacro [leggi Sagro] verso Vinca manifestando propositi di rappresaglia contro il paese. L’imputato, infine, si sarebbe confidato con la nepote.
All’udienza il Bragazzi ha insistito nell’alibi, affermando d’esser partito in licenza fin dal 14 agosto 1944, senza poter esibire il «foglio di licenza».
I coimputati hanno ritrattato le precedenti accuse.
A prova dell’alibi il Bragazzi ha indotto tre testimoni: Morelli Gino, Serri Ina e Lomini Bruno. Il Morelli non sa precisare se vide l’imputato a Brescia alla fine d’agosto o al principio di settembre del 1944; ma gli altri due testi sono estremamente precisi e mostrano d’avere una memoria invidiabile. Infatti la Serri, sfollata a Brescia con la moglie od amica del Bragazzi, ricorda d’averlo veduto a Brescia, la mattina del 24 agosto, quando egli giunse colà, e rammenta che il Bragazzi accompagnò lei e la sua donna a Verona, dove le due donne presero in affitto un appartamento fuori della città perché Brescia era divenuta pericolosa per i bombardamenti aerei. Può precisare che ciò avvenne il 24 agosto perché da tale giorno incominciò l’affitto. La sera del 24 le due donne dormirono a Verona, presso le Suore Orsoline, il cui Istituto fu poi bombardato e distrutto, mentre il Bragazzi dormì a Brescia. Il Lomini, già commilitone del Bragazzi, che non aveva più veduto dal 1940, dice d’averlo casualmente incontrato a Calvisano di Brescia, mentre egli tornava da Montechiari a Isorella essendosi recato all’ufficio Imposte di Montechiari per incarico d’un suo cugino ammalato, residente a Isorella, presso il quale esso era sfollato. Assevera che ciò accadde il 25 agosto 1944 perché, avendogli scritto il Bragazzi per chiedergli se ricordasse quanto sopra, si recò dal cugino e così tutti e due rammentarono che egli s’era portato al detto ufficio delle imposte l’ultimo venerdì del mese e il teste controllò sul calendario che era appunto il 25 agosto. Basterebbe aver riferito le deposizioni della Serri e del Lomini per constatarne la compiacenza audace e l’artificiosità; ma per demolirle non vi può essere di meglio della parola dello stesso Bragazzi, il quale ha testualmente dichiarato che il 14 agosto 1944 partì in licenza a Broscia, dove rimase fino al 23 agosto, andando il 24 a Verona e tornando la sera a Brescia. Così ha detto il Bragazzi, mentre la Serri afferma che egli giunse a Brescia il 24 agosto. Non è necessario spendere altre parole su queste testimonianze, che si spiegano appena con le relazioni di cameratismo e di amicizia dichiarate dai testimoni.
Che però il Bragazzi non fosse a Brescia ma operasse a Vinca, nei giorni della carneficina, lo provano numerosi testimoni che sotto il vincolo del giuramento hanno reso dinanzi alla Corte, circostanziate deposizioni. Battaglia Semideo attesta che Battaglia Ivo e Morani Antonio gli riferirono di aver udito, pochi istanti prima della uccisione della sua bimba che fu lanciata in aria e delle cinque donne che l’accompagnavano, in località Acquabomba [in altre parti Acqua Bomba], che qualcuno degli uccisori chiamò «Giovanni» e questi rispose: «ammazzateli tutti, piccoli e grandi» e con un fischietto dette il segnale della sparatoria. Morano [Morani] Antonio vide, dal suo nascondiglio, quattro brigatisti vestiti da tedeschi ma parlanti il dialetto carrarino, i quali, giunti presso il rifugio dei suoi parenti e di altri e scoperti costoro, li uccisero, compresa la figlioletta di due mesi di Battaglia Semideo, che fu lanciata in aria. Prima della raffica il Morani udì che uno dei brigatisti domandò a «Giovanni» che fare dei ritrovati e l’interpellato rispose: «ammazzateli tutti». Spagnoli Vanda, dal suo rifugio in Acquabomba, sentì chiamare «Giovanni» e «Bragazzi» da parte di tre brigatisti che le erano passati vicino. Achilli Anito [Avito, in altro luogo] sentì anch’esso il nome «Giovanni» e il cognome di «Bragazzi» e percepì la frase: «Giovanni, sta attento, ammazzali quanti ne vedi». Ciò il 24 agosto, da presso il Cimitero di Vinca.
Orlandini Miranda, anche essa rifugiatasi nella zona di Acquabomba [o Acqua Bomba], sentì dire, in un gruppo di cinque o sei brigatisti: «Giovanni, ce n’è un chioppo (gruppo) qui; mi occorre una mitragliatrice» eppoi udì sparare. Orlandini Domenica sentì anch’essa chiamare: «Giovanni, vieni giù».
Giananti Angiolina sentì fare, in un gruppo di brigatisti, il nome di «Giovanni» seguito dalle parole: «Finalmente le abbiamo trovate, vieni qua, non le uccidete dentro i buchi, se no possono restar vive o ferite, tiratele fuori e mitragliatele». Erano le donne trovate alla Bronza e trucidate al Mandrione. Mattei Edoardo, dal suo nascondiglio donde vide uccidere sua moglie da quattro brigatisti che le spararono addosso, udì il nome di «Giovanni» pronunciato nella località dove i detti operavano. Poscia uno dei brigatisti, che avevano scoperto il rifugio della suocera del teste, ebbe a domandare: «Giovanni, che cosa facciamo a questa qui?» e l’interrogato rispose in dialetto carrarino: «Alzale la gonnella e sparale sul c.». Marchi Iva udì i brigatisti che passarono vicino al luogo ove si era nascosta, il 25 agosto, in località Foce, chiedere: «Giovanni, si ammazza?» e la risposta a mezzo di un fischio cui fece seguito la sparatoria, là dove furono uccise sette persone. Giananti Domenico, nascosto in un burrone, il 25 agosto, sentì fare il nome di Bragazzi Giovanni da parte di brigatisti i quali chiedevano che cosa dovessero fare di coloro che incontravano e sentì l’interrogato rispondere: «Quelli che trovate fucilateli tutti». Pinelli Paolina (la cui deposizione si è data per letta) udì pure il nome di «Giovanni» fra coloro che operavano a Vinca.
Borgani Aderico seppe dalla moglie del fu Battaglia Lorenzo e da altri di Vinca che il Bragazzi aveva preannunciato, prima del 24 agosto, che «sarebbero venuti a dare una «cimatina» a Vinca. Moroni Vittorio seppe anche lui da compaesani che il Bragazzi aveva, qualche giorno prima della rappresaglia, sparato con la mitragliatrice contro Vinca, e lo stesso teste vide le tracce dei proiettili su alcune case.
Che la persona chiamata «Giovanni» fosse per l’appunto il Bragazzi si evince non solo dal deposto di Giananti Domenico, il quale udì il nome ed il cognome, ma dal riflesso che il coimputato Tomagnini Giovanni era detto Sergio, e i coimputati Rivano Giovanni e Berlini Giovanni non sono raggiunti da prove di colpevolezza, come poi si vedrà.
Le sunteggiate testimonianze di persone scampate all’eccidio, la maggior parte delle quali vide e udì quanto ha riferito, costituiscono un complesso imponente a carico del Bragazzi, al quale è ben naturale che altri brigatisti si rivolgessero per prendere ordini, dato il suo grado di sottufficiale. Le parole riferite dal teste Achilli Anito e dalla teste Giananti Angiolina appaiono invece pronunciate da qualche pari-grado del Bragazzi, operante insieme con lui.
Il Bragazzi è colto nell’atto di partecipare alla strage, non anche alla devastazione e al saccheggio, sebbene permangono fondati motivi per dubitare che tanto lui come gli altri brigatisti, che parteciparono all’eccidio degli abitanti, abbiano altresì partecipato alla devastazione e al saccheggio di Vinca, trattandosi di misfatto commesso nelle stesse circostanze di tempo e di luogo e continuati per tre giorni, durante i quali vi fu tra gli esecutori quasi una gara di criminosità.
Quanto all’omicidio Lori, Rossi Alfredo, padrigno [patrigno] della vittima, ignora che il Bragazzi abbia comandato il plotone d’esecuzione; Don Pietro Vitali non riconosce l’imputato, ed Evangelisti Monrico si limita a riferire ciò che dice d’aver appreso dal milite Dolfi (ora defunto) il quale avrebbe inteso dire che il detto plotone fosse stato comandato dal Bragazzi. Quantunque vi sia ragione di sospettare che l’Evangelisti, il quale comandava a quel tempo la G. N. R. e fece rapporto al Comando provinciale, abbia, in veste di testimonio, attenuato le dichiarazioni fatte come imputato, allo scopo di non aggravare la posizione degli odierni giudicabili dopo che esso fu assolto dalla stessa imputazione, sembra alla Corte che il Bragazzi possa esser prosciolto dal delitto in parola con la formula dubitativa.
3°) Fabiani Corinno milite: Nella fase istruttoria addusse un alibi in Lucchese senza offrire prove. Coimputati lo accusarono di partecipazione attiva alla rappresaglia. Il suo passaggio per i paesi di Gragnola, Monzone e Vinca fu affermato da numerosi testimoni, tra cui Federici Romualdo, Mattei Edoardo, Achille Anito e Giananti Andrea, che lo sentirono chiamare col nome di Corinno ed anche con il cognome nel momento in cui si commettevano i crimini. Marchi Ivo, Mattei Virgilio, che lo conoscevano, lo riconobbero distintamente quando, insieme con altri, uccideva un gruppo di donne e bambini, il 25 agosto, in Vinca. Nel dibattimento il Fabiani ha detto che il 26 agosto, di ritomo dalla Garfagnana, ove era andato con due ufficiali tedeschi, passò per Monzone, suo paese nativo; e ha soggiunto che i compaesani che lo accusano lo fanno per odio, senza spiegre la ragione di questo preteso sentimento a suo riguardo. Dei testi escussi nell’istruttoria scritta, il solo Achilli nega d’aver inteso chiamare il Fabiani, ma tutti gli altri confermano con dovizia di particolari. Mattei Edoardo, dal nascondiglio, donde vide uccidere la moglie da quattro brigatisti che le sparano addosso, ode il nome di «Corinno» pronunciato nel luogo ove quelli operavano.
Giananti Andrea, nascosto nei dintorni di Vinca, sente fare, il 26 agosto, il cognome di Fabiani da un gruppo di quattro brigatisti, che erano di pattuglia per la campagna.
Giananti Palmiro, nascosto il 25 agosto nei pressi del cimitero di Vinca, sente anch’esso fare il nome di Fabiani da una pattuglia di brigatisti.
Marchi Iva riconosce, il 24 agosto, il Fabiani, che ben conosceva, fra sei brigatisti bendati, a bordo dell’ultima camionetta della colonna che procedeva da Monzone a Vinca. Codesti brigatisti fecero, mentre passavano, gesti di minaccia con le armi contro la teste e altre donne che stavano sulla strada. Il 25 agosto la Marchi rivide e riconobbe il Fabiani presso la Foce di Vinca, dove constatò la cattura e l’uccisione di sette persone ad opera del gruppo di brigatisti, dì cui faceva parte il Fabiani.
Mattei Virgilio, nascosto nel tronco vacuo di un castagno, riconosce il Fabiani, che passa, con altri brigatisti, a cinque metri di distanza da lui. Riconosce anche la voce del Fabiani, che conosceva da ragazzo, avendo il Fabiani fatto da garzone nella cava di marmo dove il teste lavorava da cavatore. Sente inoltre chiamare «Corinno».
Giananti Domenico, nascosto in un burrone, il giorno 25 agosto, ode brigatisti chiamare Fabiani Corinno e chiedere cosa dovessero fare di quelli che incontravano; e il Fabiani rispondere: «Quelli che trovate, fucilateli tutti».
Orlandini Miranda sente, passando per Monzone Basso, donne del paese dire d’aver visto «Corinno» – o Fabiani – sino al molino, da dove la strada prosegue per Vinca.
Marchi Marianna apprende a Monzone Basso, dalla viva voce del Fabiani, che egli era stato a Vinca; e ciò il 26 agosto. Il capo partigiano Battistini Bruno e il dottor Rosoni Oscar depongono circa l’incendio di Monzone Alto, dove, secondo il Battistini, furono risparmiate soltanto tre case di proprietà del Fabiani.
Siffatte accuse, circostanziate e decise, appaiono vieppiù attendibili ove si rifletta: alle caratteristiche fisionomiche, le quali rendono facile il riconoscimento del Fabiani, che ha un occhio di vetro ed una marcata cicatrice al viso; nonché alla dichiarazione dell’imputato d’esser giunto il 26 agosto a Monzone, proveniente dalla Garfagnana. Infatti risulta da diverse fonti che Vinca venne attorniata da tedeschi e brigatisti, che provenivano anche dalla Garfagnana. La presenza del Fabiani a Vinca e la sua partecipazione ad episodi di «caccia all’uomo» rientranti nel quadro della strage non può dunque essere vittoriosamente contestata; mentre per la devastazione e il saccheggio valgono le considerazioni fatte nei confronti del Bragazzi.
Nel valutare la responsabilità del Fabiani in ordine al collaborazionismo si terrà conto del fatto che egli è decorato con medaglia d’argento al valore militare.
4°) Pensierini Andrea milite: In istruttoria, prima negò e poscia ammise di aver partecipato alla spedizione, specificando d’aver fatto servizio sul Monte Sagro.
Coimputati confermano il suo intervento. Il teste Ravenna Edmondo disse che nel negozio del barbiere Angina Serano l’imputato si vantò di avere ucciso una giovane donna e di averle tolto la fede matrimoniale e la somma di 30.000 lire che teneva nella borsetta. Il coimputato Nano [Nana], presente nella barberia, rimproverò il Pensierini di dire in pubblico certe cose.
Nel dibattimento l’imputato ha cominciato col dire che quanto il Ravenna afferma è falso e che il Ravenna stesso l’accusa per odio politico essendo il teste un anarchico ed avendo appartenuto alla banda partigiana che uccise la moglie quindicenne di esso Pensierini. Senonché l’imputato, messo a confronto col testimonio dopo che questo ha ribadito, con precisione di particolari, l’accusa, ha finito col ripetere quanto aveva dichiarato nel confronto istruttorio e cioè che nel parlare della donna uccisa e depredata a Vinca non aveva riferito il fatto a se stesso bensì a suo cognato Porta Benito, a carico del quale erano circolate in paese voci raccolte dalla madre di esso Pensierini. La testimonianza del Ravenna, d’altronde, è tale che la vanteria non può riguardare altri che lo stesso Pensierini.
Invero il Ravenna, dopo aver ripetuto che, un giorno degli ultimi di agosto 1944, nella ricordata barbieria, il Pensierini si vantò d’aver ucciso a Vinca una giovane donna depredandola di 30.000 lire, una catena d’oro e d’un anello, ha precisato che l’altro brigatista, ossia il Nana, il quale si faceva pure la barba, nell’udire il racconto del Pensierini, ebbe a dirgli: «Racconta, racconta, che qualche giorno te la fanno pagare!». Al che il Pensierini rispose: «Guarda che se tu parli così, io ti denunzio al generale Biagioni» (comandante della B. N.) e soggiunse: «Tu stai a suonare la zampogna in federazione (notisi che il Nana aveva asportato da Vinca una fisarmonica) ma io le mie 30.000 ce l’ho in tasca!» e così dicendo si portò una mano sulla tasca posteriore dei pantaloni. Lo stesso Ravenna ha precisato altresì che il Pensierini, nel fare il macabro racconto, andava avanti e indietro nella bottega e mostrava un anello che aveva al dito.
La grave testimonianza del Ravenna non solo trova – come si è detto – riscontro nella forzata ammissione dell’imputato d’aver parlato, nelle circostanze di tempo e di luogo indicate dal Ravenna, d’una donna uccisa e depredata a Vinca; ma ottiene il confronto di altre due posizioni che provengono dai due barbieri:
Angina Serano ora defunto e Angina Vasco, figlio del precedente. Il primo ricordò d’aver udito, nell’agosto 1944, fare nel suo negozio dei discorsi circa i fatti di Vinca e di aver sentito accennare alla uccisione di una donna. Seppe dal Ravenna, suo cliente, che il brigatista, che aveva fatto quei discorsi, era un certo Pensierini, il quale aveva parlato gesticolando. Il secondo, esaminato dalla Corte, conferma che un giorno, nella barbieria di suo padre, si trovarono insieme due brigatisti e cioè Nana Augusto ed un altro che poi seppe essere il Pensierini, presenti il Ravenna ed altre persone. Il Pensierini disse «cose poco edificanti», tanto che esso teste ne ricevette una impressione di disgusto. Il contenuto di queste deposizioni, provenienti da artigiani che sono, per l’abito mentale acquisito con la professione, alieni dal prendere decisamente partito in episodi compromettenti, è senza dubbio eloquente, nel senso di convalidare la verità della vanteria, non riferibile ad altri fuorché al Pensierini che la faceva.
Vero che un altro testimone, Fantoni Giuseppe – identificato sulle indicazioni dello stesso Ravenna – asserisce di non saper nulla, escludendo d’essere stato presente nella barbieria, come sostiene invece il Ravenna; ma a questo teste non presta fede la Corte, soprattutto sul riflesso che lo stesso Pensierini ammette, sia pur riferendolo a suo cognato, il discorso, che fu inteso non solo dal Ravenna ma anche dai due barbieri. Resta da vedere se la vanteria corrisponda alla realtà; ma la Corte ritiene l’affermazione considerando che fu accompagnata da gesti particolannente espressivi e determinò il significativo diverbio tra il Pensierini ed il Nana, e considerando altresì che nell’epoca in cui venne fatta solevano purtroppo avvenire molte cose che in tempi normali possono sembrare anche assurde.
Per la sua stessa confessione, pertanto, il Pensierini si dimostra colpevole di concorso nella strage e nel saccheggio di Vinca, oltreché di collaborazione col tedesco invasore, essendo l’azione confessata rivelatrice di violenza sanguinaria e di sete di lucro.
5°) Ussi Elio milite: In istruttoria, dapprima negò, poi ammise d’aver partecipato alla spedizione, assumendo d’esser rimasto a presidiare la strada, prima di Vinca. Coimputati confermarono il suo intervento e i testi Bussa Licurgo, Mariani Samuele e Pinelli Paolina dissero d’aver udito chiamare «Ussi» durante la perpetrazione degli eccidi.
Nel dibattimento il prevenuto ha confermato d’aver presidiato la strada, ma prima di Monzone, anziché prima di Vinca. Varie testimonianze comprovano la responsabilità del prevenuto. Battaglia Sersare attesta che Pinelli Paolina e Mariani Samuele, nascosti nelle vicinanze del luogo ove furono uccisi i suoi familiari, udirono il nome di «Ussi» fatto da qualcuno dei brigatisti operanti. La Pinelli (la cui deposizione si è data per letta) informa che il 25 agosto, stando nascosta in una buca presso il fiume, vide passarle vicino un gruppo di rastrellatori, uno dei quali disse: «Chiunque vedete, lo ammazzate» eppoi aggiunse altre parole rivolgendosi ad uno del gruppo che chiamò col nome di «Ussi».
Costoro uccisero, poco lontano dal rifugio della Pinelli, 14 persone. Il Mariani, nascosto anch’esso in una cavità lungo il torrente Lucido, narra d’aver veduto una pattuglia di sei brigatisti armati e d’aver udito chiamare «Ussi» e dire: «Guarda in quel cespuglio, guarda in quell’altro». Sentì poi che vennero scoperte tre donne contro le quali i detti brigatisti spararono ed esso teste rinvenne, il 27 agosto, i cadaveri delle disgraziate. Boni Giuseppe, subito dopo la strage, avvenuta sotto i suoi sguardi, di tre donne, sue parenti, ad opera di quattro brigatisti che parlavano il dialetto carrarino, vede – dal proprio nascondiglio – uno di costoro frugare i cadaveri, asportare un portafoglio e gettar via un paio di stivali forati dalle pallottole e in pari tempo ode altri brigatisti chiamare «Ussi» e quello che aveva depredato le vittime rispondere «vengo»; talché il teste si convinse che costui fosse l’Ussi, nell’esperimento tentato all’udienza. Bussa Licurgo, nascosto insieme col Boni, sentì anche esso il nome di «Ussi» e sentì poi lo stesso gruppo di brigatisti sparare contro altre persone, i cui cadaveri furono rinvenuti in quei paraggi.
A difesa dell’imputato sono state indotte due testimoni, Franzoni Graziella e Telara Rina, la seconda delle quali narra come la moglie dell’Ussi andò a trovare, nel 1947, la Franzoni, per chiederle se ricordasse d’aver veduto suo marito a Monzone e la prima si limita ad attestare che vide l’Ussi a Monzone nelle prime ore del mattino del 24 agosto, aggiungendo che poi si chiuse in casa e non lo rivide il 25 né il 26 agosto.
A parte dunque l’attendibilità della teste Franzoni, è evidente che il suo deposto è privo di ogni rilevanza, dato che i fatti riferiti dai testimoni d’accusa si verificarono intorno a Vinca il 25 agosto 1944. È stato osservato dai difensori che un altro Ussi, di nome Giovanni, fu oggetto d’indagini; ma dalla relazione del Procuratore della Repubblica (Vol. I in fine) risulta che non si procedette a carico di Ussi Giovanni, benché denunciato, per mancanza di seri elementi di responsabilità a carico suo, essendo emerso dai primi atti di polizia giudiziaria che Ussi Giovanni di Gino si arruolò nelle B. N. successivamente ai fatti di Vinca.
Ne segue che la persona chiamata col cognome Ussi non poteva esser altri che l’imp. Ussi Elio, il cui nome figura nell’elenco rinvenuto a Vinca.
L’Ussi pertanto è colto anch’esso nell’atto di partecipare alla strage, nonché al saccheggio per aver dimostrato avidità di lucro depredando le vittime.
6°) Nana Agostino o Augusto sergente, latitante, fu accusato di attiva partecipazione da coimputati, tra cui Moracchini Giorgio e Bigarani i quali dissero che il Nana operò ad Equi, dove rubò una fisarmonica, e a Vinca, da cui asportò oggetti preziosi. Il teste Marchi Ippolito depose in istruttoria d’aver saputo da un brigatista di Sorgnano che il Nana, durante la rappresaglia, era stato uno dei più violenti ed aveva rubato molti oggetti, riempiendone una valigia. Nel dibattimento il coimputato cap. Ceppellini dichiara che il Nana partecipò alla spedizione e il teste Marchi precisa che un brigatista di Sorgnano disse in sua presenza, dopo la liberazione, che uno dei più violenti a Vinca era stato Nana Augusto, il quale aveva rubato tanta roba da riempirne una valigia.
Notisi che di Sorgnano è l’imp. Bigarani, il quale accusa il Nana nel periodo istnittorio; e che da varie fonti risulta che una fisarmonica fu portata a Carrara e vista da diversi imputati nella Caserma. Concorrono dunque, a carico del Nana, sufficienti elementi per ritenerlo partecipe al saccheggio; mentre rimane dubbia, malgrado l’accusa di violenza, la sua partecipazione alla strage.
7°) Tomagnini Giovanni detto Sergio, caporal maggiore: Ammise, in istruttoria, d’esser partito da Carrara, aggiungendo d’essersi fermato a Monzone.
Coimputati confermarono il suo intervento e Moracchini Giovanni disse che fuuno dei più facinorosi e si vantò con Porta Benito di aver ucciso e squartato una donna incinta. Il nome del Tomagnini è compreso nell’elenco.
Nel dibattimento l’imputato ha detto d’essere stato veduto alla stazione di Monzone dal Dottor Schiappino, il 24 agosto (ossia il giorno stesso in cui sarebbe stata uccisa a Vinca, Marchi Alfierina, la donna incinta). Senonché il Dr. Alberto Schiappino, pur attestando d’aver visto il Tomagnini, a Monzone Basso, il 24 agosto, non precisa l’ora dell’incontro, talché la deposizione del Dottore non costituisce pel prevenuto l’alibi da lui tentato, tanto più che Marchi Ilma, sorella dell’Alfierina, dice che i suoi cari furono uccisi dopo la sua fuga da Vinca, avvenuta il 24 mattina e Giananti Domenico vide il cadavere di Marchi Alfierma soltanto il 26 agosto.
D’altra parte l’agente di P. S. Feria Salvatore ha fatto presente alla Corte che, essendosi recato, dopo l’arresto del Tomagnini, dal fratello di lui per dirgli che portasse qualcosa da mangiare e biancheria al fratello arrestato, sentì rispondersi dal fratello dell’indiziato che esso non voleva saperne nulla, perché in una osteria di Carrara, dopo i fatti di Vinca, Sergio voleva brindare col padre «per la donna che aveva squartato a Vinca». Il padre, per tutta risposta, gli aveva gettato il contenuto del suo bicchiere sul viso, dicendo: «Io non brindo con un assassino!». Un commilitone dell’imputato aveva vibrato una bastonata al padre di lui e il fratello, che narrava ciò all’agente Feria, aggiungeva d’essere intervenuto con vie di fatto, dandosi poscia alla fuga per timore di rappresaglie, in quel tempo prevedibili.
Di fronte alla gravita di tale accusa, la difesa dell’imputato ha dedotto che il Feria è inattendibile perché non riferì in precedenza quanto oggi ha deposto e perché, malgrado il preteso rifiuto del fratello, la cognata del detenuto gli portò poi da mangiare in carcere.
Ma non sono questi validi argomenti per infirmare la deposizione d’un testimone qualificato e disinteressato, che non ha alcun motivo di aggravare la posizione del Tomagnini, nei riguardi del quale, come degli altri arrestati, si mostrò anzi animato da spirito di compassione. Con riferimento, poi a quanto è stato premesso circa l’attendibilità di Giorgio Moracchini, è questo un caso nel quale le prime dichiarazioni accusatorie del detto Moracchini corrispondono a risultanze insospettabili e non possono di conseguenza venir trascurate. Comunque, la vanteria del Tomagnini, riferita dal fratello al Feria, è tale, per la sua drammatica evidenza e precisione, e per la reazione che suscitò nell’animo del padre e del fratello stesso, che non è possibile ritenerla un parto della fantasia del millantatore, tanto più che l’omicidio del quale si tratta è positivamente accertato con la identificazione della vittima.
La Corte pertanto è convinta della reità del Tomagnini in ordine alla strage, mentre rimane in dubbio quanto alla devastazione e al saccheggio, connessi con quella.
8°) Diamanti Giuseppe detto Gatton, caporal maggiore: Affermò in istruttoria d’esser rimasto in caserma; ma computati, fra cui Ussi, Bigarani, Manfredi e Moracchini Giorgio dissero che intervenne e il Moracchini l’accusò di partecipazione alla uccisione del bambino (anzi della bimba) lanciato in aria.
I testi Pinelli Angelo, Ricci Paolina, Boni Artemia, Orlandini Miranda deposero d’aver sentito chiamare «Gatton» un milite della B. N. mentre con altri commetteva eccidi. Achilli Maria, vedova del pastore Colonna Romano, depose che il Diamanti ebbe a vantarsi d’aver ucciso e derubato suo marito. Nel dibattimento l’imputato ha insistito d’esser rimasto in caserma, per ferite alle gambe, ed ha respinto anche le altre imputazioni, per i fatti di Bergiola e per quelli del 1921.
Ha detto pure che il soprannome di Gatton è molto diffuso, ammettendo tuttavia che nella brigata nera di Carrara nessun altro era chiamato Gatton. I coimputati hanno sistematicamente ritrattato le primitive accuse.
Molteplici risultanze comprovano le responsabilità del Diamanti. A Vinca, Battaglia Semideo sentì chiamare, il 25 agosto, «Gatton» da persona che aggiunse essere state trovate delle donne in un nascondiglio vicino al paese; ed ivi il teste le trovò morte il giorno seguente. Ricci Paolina sentì fare da un gruppo di brigatisti il nome di Gatton, la sera del 24 agosto mentre ella era nascosta in un campo di fagioli presso Vinca. Orlandini Miranda, che in istruttoria disse d’aver inteso fare il nome di Gatton, all’udienza non lo ricorda, ma dichiara che «se fece tale nome vuoi dire che allora se ne ricordava». Rossi Artemia che in istruttoria depose come la precedente, non lo ricorda più e dice che «lo avrà sentito ma non ci ripenserà». Pinelli Gioberto, Colonna Stefano, Battaglia Vitalino e Achilli Maria depongono sull’omicidio del pastore Colonna Romano, il cui cadavere fu ritrovato sotto il Balzone del Monte Sagro, nella zona di Vinca. Il Pinelli attesta d’aver incontrato a Codena, il 29 agosto 1944, il suo vicino ed amico Diamanti Giuseppe detto Gatton, al polso del quale notò un orologio, di cui gli chiese conto, perché in precedenza non glielo aveva visto. Il Diamanti, estraendo un altro orologio dal taschino della giacca, gli confidò d’averlo tolto ad un pastore che aveva ucciso in fondo il Balzone. Colonna Stefano, il quale pasceva il suo gregge sul Monte Sagro, in compagnia di Colonna Romano, dice che ambedue furono fermati da tre militari, due dei quali bruni ed uno biondo: i primi, secondo il teste, italiani e il terzo tedesco. Stefano, che potè allontanarsi perché gli fu ingiunto di mandar giù le pecore dal monte, riuscì a dileguarsi; mentre il povero Romano fu ucciso, dopo aver invano chiamato il compagno fuggitivo.
Battaglia Vitalino, garzoncello di Colonna Romano, vide quando questi fu fermato, insieme con Stefano, da tre militari, i quali, dopo la fuga di Stefano, condussero Romano sotto il cosiddetto Balzone ed ivi lo freddarono con nove colpi uditi bene dal teste, che poco dopo rinvenne il cadavere. Lo stesso Vitalino senti qualcuno dei tre militari parlare in dialetto carrarino e percepì la frase «va avanti che sei sicuro» indirizzata a Romano poco prima della scarica micidiale.
La vedova attesta che l’ucciso portava indosso orologio e portafogli e che non furono uccise altre persone, all’infuori di suo marito, sotto il Balzone del Monte Sagro.
Così la testimonianza di Pinelli Gisberto, attaccata dalla difesa perché il teste sarebbe stato dapprima milite eppoi partigiano, si rivela pienamente attendibile pel conforto che trova nelle altre testimonianze relative all’uccisione del pastore.
Infine Pinelli Angelo, che si trovava a lavorare fuori di Vinca, vide, il 24 agosto, dare alle fiamme il suo paese e sentì le grida di persone che venivano trucidate. Il 25 agosto, dal crinale dei monti che guarda Orto di Donna lo stesso Pinelli Angelo vide sopraggiungere, sulla strada sottostante, oltre cinquanta camionette, da cui discesero numerosi militari che presero a salire per la montagna. Egli fece in tempo a nascondersi dentro un fosso coprendosi di foglie. La colonna di nazifascisti gli passò a tre metri di distanza senza vederlo. Dalla parlata il teste potè constatare che precedevano i tedeschi e seguivano i brigatisti neri. Mentre questi ultimi passavano accanto a lui il Pinelli sentì una voce domandare, in dialetto canarino: «O’ Gatton, quali sono gli ordini?» e l’interpellato con tale nome rispondere, nello stesso dialetto: «Quanti ne vedete, tanti ne ammazzate!» o: «Quanti ne trovi, sparagli addosso» come il teste ha precisato all’udienza.
Pertanto, se anche due testimoni (Orlandini Miranda e Boni Artemia) più non ricordano d’aver inteso il nome di Gatton, è chiaramente provato che il Diamanti – unico brigatista con questo nomignolo – partecipò ai misfatti commessi a Vinca, rivelandosi violento e profittatore. Ma non meno luminosamente provata è la partecipazione del Diamanti alla strage di Bergiola. Invero parecchi testimoni e cioè Cappe Cesare, Cappe Giuseppe, Dell’Amico Guglielma, Dell’Amico Archimeda, Dell’Amico Pietro, Morelli Gino, Dell’Amico Grazio, Dell’Amico Elisa e Dell’Amico Dese seppero da compaesani scampati all’eccidio del 16 settembre 1944 che tra i brigatisti operanti con i tedeschi era stato riconosciuto il Diamanti. Ma Cappe Giulio riconobbe il Diamanti a bordo di un camioncino diretto a Bergiola nel pomeriggio del 16 settembre e vide poi l’automezzo fermarsi sotto il paese e discenderne i brigatisti, che si diressero subito verso l’abitato, donde si udirono poco dopo grida e sparatorie. Dell’Amico Gina incontrò sull’imbrunire dello stesso giorno, nei pressi di Codena, un’automobile proveniente da Bergiola con a bordo il Diamanti, nonché il Masetti e Dell’Amico Linda, la quale cingeva con un braccio il collo del Diamanti. La donna era stata riconosciuta, nel viaggio di andata verso Bergiola, dal nominato Cappe Giulio, il quale aveva inoltre notato sull’automezzo il cane del Masetti. Seguono le due testimonianze decisive di Dell’Amico Dina e Dinelli Giuseppe, che riferiscono terrificanti episodi ai quali furono essi stessi presenti. La Dina Dell’Amico accusa il Diamanti d’avere, unitamente al Masetti, ucciso in casa di essa teste, in quella di suo zio e nel pollaio di questo quattordici persone a colpi di mitra e di bombe, restando il Diamanti e il Masetti sordi alle implorazioni di Dell’Amico Filomena, che invocò pietà per sé e per i suoi otto figli, e venne uccisa con una bomba. La sventurata madre chiamò i due assassini per nome ed essi la uccisero perché li aveva riconosciuti. Giuseppe Dinelli accusa il Diamanti, il Masetti e un tedesco, che prima spararono contro i rifugiati nel pollaio col mitra e poi lanciarono bombe contro i feriti che si lamentavano. La stessa Dell’Amico Dina fu colpita sì gravemente che ha perduto una gamba, mentre Dinelli Giuseppe si salvò nascondendosi dietro agli altri che furono uccisi. Il Dinelli chiarisce che conosceva il Diamanti, perché aveva avuto occasione di vederlo a Codena.
Dinelli Aristodemo, padre di Giuseppe e Attuoni Evaristo zio del medesimo appresero dal rispettivo figlio e nepote la miseranda fine dei propri congiunti, essendo stata la Dell’Amico Filomena la moglie di Aristodemo Dinelli.
Nulla rileva che Dell’Amico Dina non parli del tedesco di cui parla Dinelli Giuseppe, perché la prima può non averlo notato e l’essenziale delle due posizioni è che in entrambe [si] designano il Diamanti e il Masetti come rei di aver partecipato, nel modo più diretto e concreto, alla strage di Bergiola. I fatti del 1921, per cui è pure chiamato a rispondere penalmente il Diamanti, costituiscono reati politici coperti dall’amnistia del 1946, non potendo l’applicazione del beneficio essere impedita da cause ostative che hanno rapporto soltanto col delitto di collaborazionismo riferibile al periodo dell’occupazione militare tedesca.
9°) Capitani Paris, caporalmaggiore: Dichiarò in istruttoria che non si trovava in caserma nel momento della partenza per Vinca, ma l’alibi dette esito negativo. Coimputati affermarono che partecipò alla spedizione e Bernardeschi (per cui fu disposto lo stralcio) disse che, di ritomo da Vinca, il Capitani si vantava d’aver ucciso una quindicina di civili.
Fiaschi Pietrina ved. Ricci attestò d’aver udito raccontare dal Capitani, sulla piazza di Codena, nella prima quindicina del settembre 1944, ciò che era avvenuto a Vinca. L’imputato diceva agli astanti: «Vi lamentate di quello che le S.S. hanno fatto in questi paesi; questo è nulla in confronto di quanto abbiamo fatto noi a Vinca: bisognerebbe che andaste lassù a vedere!». Al dibattimento l’imputato ha ammesso d’esser partito da Carrara, asserendo d’essersi fermato a presidiar la strada presso Monzone, perché si temevano attacchi partigiani. Ha negato d’aver pronunciato la frase riferita dalla ved. Ricci. Ma Battaglia Semideo ribadisce l’accusa confermando il deposto della donna, che lo informò di quanto l’imputato aveva detto a Codena.
Il nome del Capitani figura negli elenchi trovati a Vinca. Quest’ultìmo indizio e il contraddittorio sistema difensivo e le ripetute vanterie attestate da un computato (giudicabile altrove) e da due testimoni, convincono la Corte che il Capitani prese parte alla strage di Vinca, se non anche alla devastazione e al saccheggio di quel paese; la qual cosa è meno certa, dato il tenore dell’accusa del Bernardeschi, più precisa di quella della ved. Ricci.
Lo stesso imputato nega d’essere stato a Bergiola e una teste, Puccinelli Giuseppina, cugina di sua moglie e da lui indotta a difesa, depone d’essere andata, il 14 settembre 1944, a Carrara, per riportare al Capitani della biancheria che gli aveva lavato; e di aver appreso da brigatisti presenti in caserma che egli era partito per raggiungere la sua sposa a Milano. La stessa teste, interrogata sul giorno in cui fu incendiata Bergiola, risponde che ciò accadde il 17 settembre, mentre il fatto, tristamente memorabile, avvenne il 16 del mese.
Le relazioni di affinità spiegano la manifesta compiacenza della testimone, che dice più di quanto afferma lo stesso prevenuto e mentre non ricorda la data d’un evento indimenticabile, specie per una persona che abiti, come lei, poco distante dal paese colpito dalla sciagura, afferma di ricordare una data che si riferirebbe insignificante anche e specialmente per donna dedita al disbrigo di faccende domestiche.
Quattro testimoni d’accusa inducono invece a ritenere per certo che il Capitani partecipò anche alla strage di Bergiola. Ed invero Cappe Giulio attesta che l’imputato aveva ripetute volte preannunciato l’incendio del paese e soggiunge che nel pomeriggio del 16 settembre, fra Bergiola e Codena, riconobbe il Capitani a bordo d’un camioncino diretto a Bergiola, sul quale viaggiavano anche altri militari vestiti da tedeschi ma parlanti l’italiano. Il teste, che si era nascosto da un lato della strada, a tre o quattro metri da Bergiola, vide che l’automezzo si fermò sotto il Palazzo di Bergiola, dove tutti discesero e presero la via dell’abitato. Poco dopo furono udite dal testimonio grida e sparatorie. Dell’Amico Gina incontrò sull’imbrunire del medesimo giorno, fra Codena e Bergiola, quattro brigatisti armati, fra cui il Guercio, detto il Capitano, di Codena, che la teste aveva veduto parecchie altre volte quando passava la brigata nera, di cui egli faceva parte. Dell’Amico Grazio seppe da superstiti che «il Capitano» di Codena partecipò ai fatti di Bergiola e Dell’Amico Pietro apprese da compaesani che fra i brigatisti intervenuti a Bergiola vi era uno di Codena, privo di un occhio, detto «il Capitano». Infatti il Capitani ha l’occhio sinistro coperto d’un velo bianco ed è domiciliato a Codena, paese che si trova fra Carrara e Bergiola. I precedenti e l’intervento comprovato malgrado il diniego del Capitani ed il modo in cui Bergiola fu presa d’assalto dai brigatisti veduti da Cappe Giulio, fra cui l’imputato, dimostrano che tutti, lui compreso, concorsero attivamente nella sanguinosa rappresaglia, che costò la vita a tanti sventurati; come del resto risulta dal riferimento del teste Dell’Amico Orazio, che fu informato da persone scampate alla carneficina.
10°) Musetti Italo detto Fernando, milite: latitante, è raggiunto da schiaccianti prove di responsabilità in ordine al saccheggio di Vinca e alla strage di Bergiola.
Il suo nome è compreso negli elenchi rinvenuti a Vinca e Ratti Lido, fra i coimputati, disse in istruttoria che nel ritorno da Vinca circolava fra i brigatisti la voce che il Masetti avesse rubato 60.000 lire. Le testi Micheli Lina e Dell’Amico Corinna deposero che il Masetti aveva dichiarato che i fatti di Bedizzano erano nulla in confronto di quello che era successo a Vinca ed aveva confessato d’aver preso della roba durante il saccheggio di Vinca. Di partecipazione attivissima alla strage di Bergiola fu accusato da numerosi testimoni, che hanno ribadito le accuse dinanzi alla Corte.
Al dibattimento Micheli Lina ha riferito testualmente il colloquio che si svolse fra lei ed il Masetti, il 29 o 30 agosto 1944, nella piazza di Bedizzano, che era stato incendiato contemporaneamente a Vinca. A tale incontro fu presente anche Dell’Amico Corinna fu Pietro e tutte e due le donne dicono, in sostanza, che il Masetti dichiarò che l’incendio di Bedizzano era ben poca cosa al paragone di quello che era stato fatto a Vinca. La Micheli, però, dice che il Masetti incolpava i tedeschi e tanto essa Micheli quanto la Dell’Amico dicono che il Masetti proclamò di non aver sparato neppure un colpo a Vinca, mentre confessò d’aver fatto un fagotto di lana, mutande, calze e flanelle ed aggiunse che gli altri avevano riempito, le camionette di roba, che poi avevano gettato nel fiume. Ciò dopo aver detto che Vinca era un paese ricco e pieno di provviste.
Le due testi riferirono a Battaglia Semideo quanto era venuto a loro conoscenza per mezzo del Masetti, la cui parziale ma sostanziale confessione va senza dubbio attesa.
Sui fatti di Bergiola hanno deposto a carico del Masetti tredici testimoni de relati rispondenti ai nomi di Paoli Emma, Cappe Giuseppe, Dell’Amico Guglielma, Dell’Amico Archimeda, Dell’Amico Pietro, Attuani [Attuoni] Evaristo, Dell’Amico Grazio, Cappe Cesare, Morelli Gino, Dell’Amico Alessandro, Dell’Amico Elisa, Dell’Amico Dese, Dinelli Aristodemo e sei principali testimoni diretti, le cui deposizioni giova sintetizzare:
a) Paoli Maria informa che una madre, poco prima di essere uccisa nella casa colonica annessa alla villa Picciati, vedendo, come vide la teste, passare per il giardino un brigatista con un cane, insieme con uno vestito da tedesco, riconobbe nel primo il Masetti. Entrambi spararono contro la villa e nei dintorni.
b) Morelli Emma vide il Masetti, con tre o quattro tedeschi, lanciare bombe in casa di Dell’Amico Ida uccidendo costei ed il figlio della teste e ferendo mortalmente sua suocera. Il Masetti fu poi distolto da un altro milite dall’uccidere anche la figlia della testimone. Lo stesso Masetti, dice la teste, incitava il suo cane a leccare il sangue fresco dei cadaveri. Poiché questo raccapricciante particolare viene escluso in sede dibattimentale da un altro testimonio, Dinelli Giuseppe, la difesa contesta la veridicità della Morelli; ma l’argomento si dimostra inefficiente considerando che la Morelli e il Dinelli riferiscono avvenimenti distinti, onde nulla vieta di credere che il Masetti abbia incitato il suo cane in un caso e non nell’altro. La stessa difesa impugna la testimonianza della Morelli anche perché all’udienza la teste ha detto di non ricordare d’essere stata ella stessa minacciata di morte; ma neppure ciò induce a ritenere non vero che sia stata minacciata la figlia della testimone, come questa ha riferito nella sua circostanziata deposizione.
c) Del Frate Andrea, tornando a casa, trova sulla soglia della porta la moglie Dell’Amico Argenia crivellata di ferite ma ancora viva, che, da lui sollevata ed interrogata, gli risponde d’aver udito le parole: «Masetti, andiamo che sono tutti sistemati!».
La difesa ricorda le allucinazioni a cui vanno soggetti i moribondi; ma la Corte non dubita che sul caso concreto la moglie del teste, benché mortalmente ferita, abbia detto la pura verità.
d, e) Dell’Amico Dina e Dinelli Giuseppe – già ricordati a proposito del Diamanti – depongono in modo sostanzialmente concorde circa l’eccidio di quattordici persone, perpretrato, con mitra e bombe a mano, dal Masetti e dal Diamanti (con o senza la partecipazione d’un tedesco) e circa la spietatezza dimostrata specialmente dal Masetti, che alle implorazioni di Dell’Amico Filomena invocante salvezza per sé e per i suoi figli, rispose: «Sacramento, senza pietà!» e gettò contro la supplicante una bomba che la dilaniò. Dinelli Giuseppe, di cui la stessa difesa riconosce la stessa coerenza e quindi l’attendibilità, spiega che conosceva molto bene il Masetti, perché questi gestiva un negozio alla Foce, dove il teste si era trasferito con la famiglia nel 1938.
f) Dell’Amico Corinna fu Pietro attesta che quando il Masetti, reduce da Bergiola, fu giunto presso la casa sua, situata sotto il paese, disse a nove individui vestiti da tedeschi ed armati di mitra, i quali si trovavano sul posto; «sparate!» ed essi spararono contro la teste e i suoi figli, che però si salvarono gettandosi subito a terra; mentre furono uccise cinque persone che stavano in una casa vicina, persone delle quali la teste indica le generalità.
Un altro testimone, Dell’Amico Epaminonda, stando nella propria camera da letto al secondo piano della casa da lui abitata, vide entrare dalla porta della stanza una bomba che esplose e lo ferì gravemente. Subito dopo entrò nella camera il cane del Masetti, che incominciò a leccare il sangue del ferito. Poi sporse la testa, dal vano della porta, il Masetti, non appena il ferito, riconosciuto il cane di lui, ebbe detto: «Fernando, bei lavoro che m’hai fatto!» Dopo ciò il Masetti, riconosciuto il vecchio che ben conosceva, ebbe a dirgli: «Assettatevi lì e non vi movete». Il ferito gli replicò: «Mò tu hai ragione di lasciarmi qui, perché non mi posso più muovere». Indi il Masetti si allontanò, seguito dal cane.
Codesto episodio è valorizzato dalla difesa a prò dell’imputato; ma, ben considerando, la sua portata è modesta, perché se il Masetti, alla vista del vecchio conoscente ferito, ebbe un momento di resipiscenza, la cosa si spiega appunto con l’antica conoscenza; se poi il Masetti stesso pensò, come è probabile, che non occorresse altro a spedire il vecchio all’altro mondo, la sua desistenza da ulteriori offese non implica alcun pentimento. Senza necessità d’indugiare sulle testimonianze di Cappe Giulio, Dell’Amico Gina, Paoli Sandra e Morelli Viviana (la quale riferisce che il Masetti si vantò d’aver salvato una donna – cosa che non distrugge la tragica realtà degli eccidi) – occorre aggiungere che la diligente difesa dell’imputato ha indotto una testimone. Bellé Elvira, già colona del Masetti, la quale ha deposto che l’imputato si trovava, il 16 settembre, nella cantina della casa colonica per procedere col mezzadro alla divisione del mosto, quando militari tedeschi, che erano già in casa, lo costrinsero ad andare con essi a Bergiola, a seguito della uccisione di un tedesco, avvenuta alla Foce. La testimone ha soggiunto che i tedeschi contestarono, sulle prime, al Masetti d’essere un partigiano, ricredendosi dopo che il Masetti ebbe mostrato loro i suoi documenti.
Facendo leva su questa deposizione la difesa ha finito col sostenere che, nella situazione in cui era stato posto dai Tedeschi, il Masetti doveva fingere o simulare di far qualche cosa; dissolvendo la concretezza delle testimonianze accusatorie in un rappresentazione puramente fantastica. Senonché ogni tesi deve avere i suoi limiti, e qui è la difesa che si abbandona alla sua fantasia. La Corte fa ogni riserva circa l’attendibilità della teste Bellé Elvira, legata da rapporti di dipendenza e d’interesse al Masetti. Ma, se la testimonianza della Bellé dovesse essere utilizzata, pensa la Corte che potrebbe indurre il dubbio non infondato che il Masetti avesse spiegato a Bergiola tanta ferocia proprio per mostrare ai tedeschi, che lo avevano sospettato partigiano, tutto il suo zelo di fedelissimo collaboratore.
Comunque, non può esservi dubbio che il Masetti fu in prima linea nella consumazione di delitti, che rientrano nel quadro sanguinoso della strage di Bergiola.
In ordine alla strage di Vinca non si ravvisano sufficienti le prove, avendo il Masetti protestato di non aver esploso nemmeno un colpo in quella rappresaglia e permanendo d’altra parte ragionevole il dubbio che il Masetti non sia rimasto spettatore inerte degli eccidi, di cui parlò, con tanta vivezza di particolari, a Micheli Lina e a Dell’Amico Corinna.
Dalla rapina perpetrata a Bergiola, la notte del 24 agosto, in danno della Signora Zuccagna e dei coniugi Moisè, è giusto assolvere il Masetti con formula piena, dal momento che Dell’Amico Maria ved. Moisè dichiara di non essere affatto sicura d’aver riconosciuto dalla voce il Masetti, sottolineando che altri, fra i numerosi rapinatori, parlavano il dialetto carrarino e non confermando il più esplicito riconoscimento, che avrebbe fatto dinanzi ai Carabinieri.
Con eguale formula il Masetti dovrà essere assolto dall’omicidio Lori, dato che il denunciato Rossi Alfredo ha chiarito d’aver fatto includere il nome del Masetti fra i nominativi degli incolpati d’aver fatto parte del plotone di esecuzione solo perché un giorno il Masetti era andato con guastatori tedeschi a casa sua e gli aveva buttato fuori tutta la roba che possedeva; e nessun’altra accusa grava sul Masetti per l’uccisione del partigiano.
11°) Ciompi Ruggero, milite: Asserì in istruttoria di non aver partecipato alla rappresaglia su Vinca, assumendo d’esser rimasto, come piantone, in Caserma; ma il coimputato Pensierini lo accusò d’aver partecipato alla spedizione.
Tre testimoni lo accusarono di partecipazione ai fatti di Bergiola. Nel dibattimento l’imputato ha insistito di non essere andato a Vinca il Pensierini ha ritrattato le sue prime dichiarazioni. Il Ciampi, inoltre, ha negato d’essere intervenuto a Bergiola, affermando d’esser partito, fin dal 14 settembre, per Berceto di Parma, ove si trasferì la brigata nera di Carrara.
Mentre però l’imputato non è contraddetto per Vinca, è smentito per Bergiola.
Anzitutto risulta da informazioni del Questore di Massa (a pag. 308 del Verbale del dibattimento) che la detta brigata nera si trasferì a Berceto, a scaglioni, dal 20 settembre al 15 ottobre 1944. (Il telegramma del Maresciallo dei CC. di Berceto, che farebbe risalire il trasferimento al 20 luglio 1944, è manifestamente erroneo, avendo gli stessi imputati ammesso che la Brigata non si trasferì prima del settembre 1944).
Inoltre Dell’Amico Pietro seppe da scampati all’eccidio di Bergiola che il Ciampi era fra i brigatisti intervenuti.
Dell’Amico Orazio apprese pure da superstiti che il Ciampi partecipò ai fatti di Bergiola.
Cappe Giulio riconobbe il Ciampi (che risiedeva a Bedizzano) in compagnia di altri brigatisti a bordo d’un camioncino diretto a Bergiola, nel pomeriggio del 16 settembre. Vide poi fermarsi l’autoveicolo sotto Bergiola, discenderne tutti i brigatisti e prender subito la via dell’abitato, da cui provennero poco dopo grida e sparatorie, bene udite dal testimonio.
L’alibi fallito, per Bergiola, e le rammentate testimonianze, specialmente l’ultima, dimostrano che il Ciampi non solo raggiunse Bergiola, ma partecipò con gli altri intervenuti alla rappresaglia, che fu condotta con tale rapidità e tale ardore da far presumere che nessuno sia rimasto inerte, senza dare il proprio contributo.
Per Vinca, invece, dopo la ritrattazione del Pensierini, può dirsi che sia venuta a mancare interamente la prova della responsabilità del Ciampi.
12°) Dell’Amico Linda: Nega d’essere andata a Bergiola, asserendo d’essersi trovata, nel pomeriggio del 16 settembre, a Carrara, presso una certa Vatteroni Livia. È però raggiunta da prove tranquillizzanti sia per l’intervento a Bergiola sia per la partecipazione alla strage. A parte Dell’Amico Pietro, Dell’Amico Grazio e Morelli Gino che pure attestano d’aver appreso a Bergiola che la prevenuta era coi brigatisti neri, Cappe Giulio riconobbe la Linda Dell’Amico (nata a Bergiola e domiciliata nella vicina Codena) insieme col Diamanti sul camioncino di brigatisti diretti a Bergiola, di cui si è parlato trattando la posizione del Ciampi; e Dell’Amico Gina, sull’imbrunire del 16 settembre, incontrò presso Codena un’automobile proveniente da Bergiola, a bordo del quale erano il Masetti, il Diamanti e la Linda, che cingeva con un braccio il collo del Diamanti.
Cappe Cesare non conferma, in base ad ulteriori indagini che dice d’aver esperito, la primitiva accusa, secondo la quale la Linda avrebbe indicato ai Tedeschi case da bruciare e persone da uccidere. Ma Dell’Amico Dina – non esaminata dal giudice istruttore ma interrogata dalla Corte – assicura di avere veduto Dell’Amico Linda, vestita alla tedesca e armata di mitra, mentre indicava a Masetti e Diamanti la casa sua e due case vicine; e precisa d’aver visto la Linda sparare contro Dell’Amico Albina, uccidendola, nel momento in cui la poveretta si rifugiava nella casa di essa teste (pag. 227 verb. dib.).
La difesa attacca questa testimonianza perché Dell’Amico Dina non parlò della Linda alla sorella Gina, né al M.llo di P. S. Benassi che la interrogò all’Ospedale; ma è degno di nota che Dell’Amico Alessandro, il quale in periodo istruttorio accusò di partecipazione alla rappresaglia su Bergiola il Masetti, il Diamanti e Dell’Amico Linda, ha precisato al dibattimento che la sua informatrice fu
Dell’Amico Dina, dichiarando che in istruttoria fece anche il nome della Linda vuol dire che la Dina ebbe a fargli anche quel nome, ancorché questo non sia rimasto impresso nella sua memoria. Ciò stante, e considerate le gravi condizioni di salute in cui versava, nell’Ospedale, la Dina (a cui fu asportata una gamba) – non vale argomentare dal silenzio serbato con la sorella per concludere che la Dina inventa oggi l’accusa a carico della Linda. La posizione dell’imputata è resa più grave dalla considerazione del suo sesso, perché, non potendo dubitarsi del suo effettivo intervento a Bergiola per essere stata riconosciuta sia nell’andata che nel ritomo, è logico pensare che solo un fanatismo sfrenato, consigliere d’iniquità, abbia spinto la donna a seguire i più fanatici collaboratori dei tedeschi, con uno dei quali fu colta in atteggiamento di spiccata confidenza. E la compagnia dei due suddetti è un altro elemento che suffraga l’accusa.
13°) Bovani Alfredo, tenente. Dichiarò in istruttoria di esser rimasto, nei giorni di Vinca, in caserma, quale ufficiale di picchetto. Alcuni imputati dissero che dette l’ordine della partenza, altri che partì a bordo di un camion ed altri che restò a Carrara. Il teste Vanelli Carlo lo vide armato al momento della partenza.
Il teste Grassi Pietro, rastrellato a Sorgnano il 24 o il 25 agosto 1944, disse che lo stesso giorno fu liberato per opera del tenente Bovani.
All’udienza l’imputato ha insistito nel proprio assunto difensivo e il M.llo di P. S. Benassi ha testimoniato d’aver veduto il ten. Bovani a Carrara verso le ore 18 del 24 agosto 1944 e d’aver saputo da lui che era ufficiale di picchetto.
L’incertezza che permaneva nel periodo istruttorio si è quindi risolta, nel dibattimento, a favore del Bovani, che merita piena assoluzione per la strage, la devastazione e il saccheggio di Vinca.
Il ten. Bovani è però accusato altresì di aver fatto parte del Tribunale improvvisato che condannò a morte il partigiano Lori Oreste, fucilato in Carrara la sera del 15 agosto 1944. L’accusa è convalidata da tre testimonianze e dal comportamento dello stesso imputato. Rossi Alfredo, padrigno [patrigno] del Lori e denunziante, indica il Bovani come colui che avrebbe comandato il plotone di esecuzione, dopo il rifiuto del tenente Aloisi. Evangelisti Monrico – che al tempo del fatto comandava col grado di capitano, il G. N. R. di Carrara – lo designa fra i componenti del suddetto Tribunale. La designazione dell’Evangelisti è più attendibile di quella del Rossi, poiché questo fu informato da un brigatista (Vanelli Gino), mentre l’Evangelisti, pur dicendo d’aver la notizia da un milite (certo Dolfi, ora defunto) attesta che fece rapporto, sul fatto Lori, al Comando provinciale della stessa G. N. R., onde è logico pensare che, prima di riferire ai superiori, l’Evangelisti abbia controllato le notizie venute al suo orecchio.
Don Pietro Vitali, che prestò assistenza spirituale all’impavido partigiano, fu invitato dalla Corte d’Assise di Grosseto a dichiarare se riconoscesse il Bovani e rispose: «La sagoma c’è». Ma a questo punto interviene lo stesso Bovani, il quale, chiesto il permesso al Presidente, rivolse a Don Vitali la domanda: «Non rammenta, reverendo, che io venni a chiederle se si sarebbe ancora trattenuto per recitare le sue preghiere» (presso il cadavere del fucilato)?
Questa domanda schiarì la memoria del sacerdote e così egli potè ravvisare nel Bovani colui che, poco dopo la esecuzione, andò appunto a domandargli se si sarebbe trattenuto o meno. Il teste don Vitali, inteso per rogatoria, aggiunge che tuttavia non gli sembra che il Bovani abbia fatto parte del plotone di esecuzione, né come comandante, né come gregario. Non potendo dubitarsi del fatto che il Bovani fu nel luogo della esecuzione poco dopo che questa era avvenuta, fa d’uopo interpretare il significato di questo intervento.
La difesa, riferendosi alla lettera in data 27 nov. 1945 indirizzata dal Bovani al Commissario di P. S. di Carrara (f°. 21 Vol. I processo c. Porta ed altri) sostiene che il Bovani andò semplicemente a vedere il fucilato. Ma tale assunto appare inattendibile alla stregua delle parole rivolte dal Bovani al sacerdote inginocchiato presso il cadavere, parole che non sono conciliabili con una visita per semplice curiosità, che avrebbe indotto il visitatore a disinteressarsi del sacerdote e a non disturbarlo nelle sue preghiere. D’altra parte il Bovani ha dichiarato all’udienza d’esser venuto a conoscenza dell’avvenuta fucilazione quando rientrò in caserma, circa le ore 23 del 15 agosto; e d’aver prima, verso le ore 21, udito la sparatoria dalla Piazza XX Settembre, mentre alla menzionata lettera scriveva d’averla udita da Piazza San Francesco. Non solo, ma al dibattimento il Bovani ha pur detto che il Lori venne fucilato per ordine del Comando tedesco, d’accordo col Capo di Stato Maggiore della brigata nera, capitano Iacobelli, aggiungendo d’ignorare che fosse stato convocato un Tribunale per giudicare il Lori.
Senonché, la convocazione di un Tribunale improvvisato, e la sentenza di morte del medesimo pronunciata, sono fatti che il condannato in persona significò a Don Pietro Vitali, il quale ne ha reso testimonianza.
Siffatti rilievi, ai quali bisogna aggiungere che la condanna fu emessa al Colambarotto (sede della B. N.) ed eseguita al Palazzo del Ballila, inducono la Corte a concludere che – come attesta l’Evangelisti – il Bovani fece realmente parte del suddetto Tribunale e si recò sul luogo della esenzione per le constatazioni del caso. Dovrà quindi essere affermata la responsabilità del Bovani, in ordine all’omicidio Lori, esclusa, per i motivi già indicati, la premeditazione.
Nell’applicazione delle pene ai colpevoli, la Corte, considerata la speciale gravita dei reati a norma dell’art. 133 C. P. con la conseguente esclusione di attenuanti generiche, stima d’infliggere: al Bordigoni 15 anni di reclusione pel collaborazionismo politico e l’ergastolo per la strage di Vinca, ossia facendo il cumulo, l’ergastolo con un anno d’isolamento diurno; al Bragazzi l’ergastolo per la strage di Vinca; al Fabiani 15 anni di reclusione ridotti a cinque per l’art. 26 1. p. m. g. pel collaborazionismo e l’ergastolo per la strage di Vinca, pene cumulate nell’ergastolo con sei mesi d’isolamento diurno; al Pensierini 15 anni di reclusione pel collaborazionismo, l’ergastolo per la strage e 15 anni di recl. pel saccheggio di Vinca, pene cumulate nell’ergastolo con diciotto mesi d’isolamento diurno; all’Ussi come al Pensierini, come due anni d’isolamento diurno aggiunti all’ergastolo; al Nana 15 anni di recl. pel collaborazionismo e 15 pel saccheggio di Vinca, cioè 30 anni di reclusione; al Tomagnini 15 anni pel collaborazionismo e l’ergastolo per la strage di Vinca, pene cumulate nell’ergastolo con un anno d’isolamento diurno; al Diamanti 20 anni di recl. pel collaborazionismo, l’ergastolo per la strage cont. di Vinca e Bergiola, 15 anni per il saccheggio a Vinca, pene cumulate nell’ergastolo con due anni d’isolamento diurno; al Capitani 15 anni di recl. pel collaborazionismo e l’ergastolo per la strage cont. di Vinca e Bergiola, pene cumulate nell’ergastolo con un anno d’isolamento diurno; al Masetti 20 anni di recl. pel collaborazionismo, 15 anni per il saccheggio a Vinca e l’ergastolo per la strage di Bergiola, pene cumulate nell’ergastolo con tre anni d’isolamento diurno; al Ciompi 15 anni di recl. pel collaborazionismo, l’ergastolo per la strage di Bergiola, pene cumulate nell’ergastolo con un anno d’isolamento diurno; a Dell’Amico Linda come al Ciompi; al Bovani 15 anni pel collaborazionismo e 24 per l’omicidio Lori, cumulati in 30 anni di reclusione.
Pene accessorie: interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale per tutti, spese di pubblicazione della sentenza pei condannati all’ergastolo.
Misura di sicurezza: libertà vigilata per anni tre.
Tutti i condannati sono tenuti per legge solidamente al pagamento delle spese processuali, nonché alla riparazione dei danni cagionati alle parti civili, danni da liquidarsi in separato giudizio con l’assegnazione intanto d’una provvisionale di due milioni di lire e con la liquidazione delle spese sostenute dalle stesse parti civili nella some di lire cinquantamila, compresi gli onorari ai difensori.
In virtù dei decreti d’amnistia e d’indulto 22 giugno 1946, 9 febbraio 1948 e 23 dicembre 1949 le suddette pene all’ergastolo sono commutate e ridotte ad anni venti di reclusione pel Tomagnini (che pei suoi precedenti penali non beneficia dell’ultimo condono) e ad anni 19 di reclusione per gli altri condannati alla pena perpetua; mentre le pene di anni trenta di reclusione sono ridotte a nove anni – esclusi però dai condoni i latitanti.
Vanno poi assolti: il Bordigoni dalla devastazione e saccheggio per insufficienza di prove; il Bragazzi dalla devastazione e saccheggio e dall’omicidio Lori per lo stesso motivo; il Fabiani dalla devastazione e saccheggio per la stessa ragione; il Nana dalla strage di Vinca per insufficienza di prove; il Tomagnini dalla devastazione e saccheggio per lo stesso motivo; il Capitani – come il Tomagnini; il Masetti dalla rapina di Bergiola e dall’omicidio Lori per non aver commesso tali fatti e dalla strage di Vinca per insufficienza di prove; il Ciompi dalla strage di Vinca e dalla devastazione e saccheggio per non aver commesso questi fatti; il Bovani – come il Ciampi.
E deve dichiararsi che non si può procedere contro il Diamanti per i fatti del 1921, perché i reati che vi corrispondono sono estinti per amnistia.
Nei confronti degli imputati che seguono non risultano, a parere della corte, prove sufficienti di colpevolezza:
1°) Bernardini Vittorio, cap. magg.: Tre testi udirono il nome di «Vittorio» a Vinca: Boni Artemia, Borzani Eva e Papa Olimpia. La prima depone d’aver inteso fare il nome di «Vittorio» in un gruppo di brigatisti che uccisero sei persone, il 25 agosto, in Acquabomba [o Acqua Bomba]. La seconda e la terza depongono d’aver udito, dal loro nascondiglio, brigatisti che dicevano: «Vittorio, porta le munizioni». Sentirono poi caricare le armi e sparare contro il padre della Borzani, che rimase ucciso e contro esse testimoni, che rimasero ferite. Ma l’imputato, tanto in istruttoria, quanto al dibattimento ha sostenuto che restò a Carrara, in caserma, quale telefonista e non si contesta che il giudicabile fosse addetto al telefono.
Il Bernardini ha soggiunto che altri brigatisti portavano il suo stesso nome.
I coimputati, che avevano affermato la sua partecipazione alla spedizione, hanno ritrattato e il cap. Cellini ha escluso che il Bernardini vi abbia partecipato.
È stata escussa anche una teste a discarico, indotta per dimostrare che nei giorni di Vinca il Bernardini s’interessò per un figlio di lei, che era stato rastrellato; ma la testimone (Bertagnini Nella) non è stata precisa circa le date.
Comunque, la mansione di telefonista accredita il dubbio circa l’effettiva partecipazione del Bernardini alla rappresaglia e tale dubbio si riflette sulla identificazione dell’imputato con la persona che fu chiamata col nome di «Vittorio» nei dintorni di Vinca.
Il Bernardini sarà quindi assolto con la formula dubitativa, riservando il giudizio sul collaborazionismo per cui è stato disposto lo stralcio.
2°) Dell’Amico Augusto, milite: Negò, poi ammette d’aver partecipato alla spedizione di Vinca, dicendo d’aver prestato servizio di perlustrazione alle cavedi marmo del Sagro, dove avvennero sparatorie fra tedeschi e partigiani. Il coimputato Ridotti Gino disse che era con lui. Un teste, Dell’Amico Pietro, informa che l’imputato, appena rientrato a Carrara, mandò a dire alla madre del giovane partigiano Cappe Gino che questi era stato ucciso a Monzone, insieme con un prete e col padre del sacerdote. Infatti Cappe Gino fu ucciso sul ponte di Monzone.
Null’ altro per Vinca.
Per Bergiola vi sono cinque testimoni: Dell’Amico Pietro, Dell’Amico Grazio e Morelli Gino, i quali seppero da compaesani che l’imputato intervenne; Cappe Cesare, che in base ad ulteriori indagini ritratta le gravi accuse fatte al prevenuto nella fase istruttoria; Dell’Amico Ercolina, nepote dell’imputato, la quale attesta che lo zio era a Bergiola e la consigliò di rincasare.
A prescindere dalle testimonianze d’alibi di Dell’Amico Corinna (lavandaia, parente dell’imputato) e di Galvani Carlo (ex milite della G. N. R.) perché manifestamente compiacenti, deve riconoscersi che gli elementi raccolti a carico di Augusto Dell’Amico lasciano nell’incertezza, sia la sua partecipazione ai misfatti di Vinca, sia il suo concorso attivo alla strage di Bergiola, dove mostrò, almeno di fronte alla nepote – che pur lo dice intervenuto – animo non alieno da sentimenti umanitari. L’insufficienza di prove in ordine ai delitti comuni determina l’applicazione dell’amnistia dal collaborazionismo.
3°) Ceppellini Antonio, capitano: Durante l’istruttoria ammise d’aver partecipato alla spedizione su Vinca, assumendo d’avere svolto servizi puramente logistici. Ma la sua partecipazione attiva e con funzioni di comando – essendo allora l’imputato Capitano nella brigata nera di Carrara – fu affermata da molti coimputati: Ussi, Piolanti, Moracchini Guglielmo, Manfredi Giuseppe, Bichi, Tomagnini, Pensierini, Pisani, Bichi [?], Tomagnini [?], Bertieri. La teste Senni Nella lo vide a Gragnola la mattina del 24 agosto 1944.
Al dibattimento il Ceppellini ha dichiarato che la brigata nera era tatticamente alle dipendenze del Comando tedesco; che la notte della partenza per Vinca egli stesso divise i brigatisti in due reparti; che chiese il motivo della spedizione al col. Lodovici, il quale gli rispose che lo ignorava ma che lo avrebbero saputo durante il viaggio, cosa che (secondo il Ceppellini) non avvenne. Il Ceppellini ha poi detto che egli dispose posti fissi fra Gragnola – Monzone – Equi Tenne per salvaguardare ponti, passaggi obbligati e stazioni e perquisire uomini, perché si temeva un eventuale attacco di partigiani, che avessero inteso di compiere atti di sabotaggio nei punti di transito e nei parcheggi per gli automezzi creati a Monzone ed altrove. Dopo ciò l’imputato asserisce che né il 24 agosto né il 25 giunse al suo orecchio alcuna notizia di stragi devastazioni saccheggi incendi commessi nella zona delle operazioni. Ignora anche l’incendio di Monzone Alto. Non venne a conoscenza dei misfatti neppure alla fine della rappresaglia, quando il giorno 26, si concentrarono a Monzone Basso le truppe italo-tedesche, prima di prendere la via del ritomo a Carrara. Ebbe chiara cognizione dell’accaduto soltanto una settimana più tardi, nel Gabinetto del Capo della Provincia di Apuania, sebbene già da qualche giorno avesse appreso, da voci circolanti in Carrara, che i Tedeschi avevano commesso della atrocità. Non sa dire, il Ceppellini, a quali compiti in genere fosse riservata la brigata nera nel «ciclo operativo» del quale si tratta.
Senonché la pretesa ignoranza, che starebbe a denotare inerzia spirituale, del Ceppellini, ma si concilia con la curiosità da lui stesso dimostrata all’atto della partenza, quando interrogò il suo superiore sul motivo della spedizione; ed appare inverosimile alla stregua di significative risultanze. Invero Orlandini Miranda, che aveva lasciato i figli a Vinca, apprese a Gragnola, nel luogo dove si trovavano brigatisti e rastrellati, nel pomeriggio del 24 agosto, che Vinca era in fiamme.
Ottolini Pietro, catturato dai Tedeschi e liberato per interessamento a suo favore del col. Lodovici nei pressi di Vinca, la mattina del 25 agosto, attesta che il Lodovici, con la sua scorta di quindici brigatisti, tornò da Vinca a Monzone dopo aver protestato, presso un ufficiale tedesco, per quanto era stato fatto a Vinca, e lo stesso Ottolini con essi, abbiano portato a Monzone notizie di Vinca. Si aggiunga che il Maresciallo Benassi attesta che la notizia della strage era arrivata, fin dal pomeriggio del 24 agosto, a Carrara.
È dunque poco credibile che il Cap. Ceppellini, il quale doveva aggirarsi fra Gragnola, Monzone ed Equi Terme, dove aveva costituito i suddetti posti fissi, abbia potuto ignorare i misfatti che si commettevano durante la crudele rappresaglia. L’opera svolta dal Ceppellini, con la costituzione dei detti posti fissi, non può dirsi, d’altronde, indifferente ai fini del concorso criminoso, che – come si è premesso – presuppone un contributo efficiente alla produzione dell’evento dannoso. Nel caso concreto non può escludersi il dubbio che siano state guardate le spalle dei reparti di tedeschi e brigatisti che si abbandonarono a Vinca e nei dintomi, ad azioni gravemente delittuose; senza che, tuttavia, possa ritenersi per certo che ciò sia stato fatto con quella volontà chiaramente consapevole, che occorre a caratterizzare l’azione criminosa.
Anche il Ceppellini sarà quindi assolto con la formula dubitativa dai reati comuni, dichiarando estinto per amnistia il collaborazionismo.
4°) Cabrini Carlo, sergente: Disse in istruttoria e ripetè nel dibattimento che si fermò a Gragnola e fu incaricato di scortare a Carrara i trenta civili rastrellati dai tedeschi. Due testimoni udirono fare il suo nome a Vinca:
Federici Marianna, il 25 agosto, dopo mezzogiorno, udì dal suo nascondiglio, che un brigatista, da un lato del torrente Lucido, domandava; «Carlo, ci sono segni di passaggio?» e un altro, dal lato opposto del fiume, rispondeva: «Sì, ci sono le felci tutte rotte».
Mariani Samuele, circa le ore 13 del 25 agosto, vide un pattuglia di sei brigatisti risalire, da entrambi i lati, il detto torrente perlustrando e sparando. Sentì da vicino chiamare «Carlo» e dire «guarda in quel cespuglio». Poi le parole: «Carlo, qui ci sono tre donne» e la risposta «sparale addosso». Quindi le altre parole: «Carlo, c’è una donna che non vuoi morire» e la replica «tirale una bomba e non risparmiare nessuno». Il teste udì sparatorie contro tali donne ed altre, e il 27 agosto rintracciò i cadaveri di tre donne, uccise presso il suo rifugio.
Altri testi depongono che il Cabrini stette, il 24 agosto, a guardia dei rastrellati di Gragnola e nel pomeriggio del 25 li scortò a Carrara (Mastino Pasquale e Catelani Amilcare). Un altro teste, Ceci Nello, dice d’esser poi stato salvato a Carrara da un sergente calvo, come è il Cabrini. Due testimoni a discarico e cioè Terenzoni Adalgisa, proprietaria del locale in cui furono rinchiusi i rastrellati, e Sarteschi Eugenio, farmacista di Gragnola, ove agevolò la fuga del Sarteschi, e non fu più visto dalla Terenzoni dopo la partenza dei rastrellati per Carrara. La difesa invoca pel Cabrini piena assoluzione; ma la Corte non crede possa eliminarsi il dubbio ch’egli sia stato anche a Vinca, considerando che Federici Marianna e Mariani Samuele sentirono chiamare il nome di Carlo – portato, fra i giudicabili, dal solo sergente Cabrini – nelle ore meridiane del 25 agosto, ossia in ore tali da non escludere la possibilità di un temporaneo spostamento da Gragnola a Vinca e viceversa, prima che giungesse l’ ora di scortare i rastrellati a Carrara.
5°) Berretti Angelo, milite: Assunse in istruttoria d’aver partecipato alla spedizione perché costretto dal Ten. Bovani e d’essere stato di guardia a macchine di viveri. Il coimputato Pensierini disse che, tornando da Vinca a Carrara, il Berretti gli confidò d’essersi impossessato, a Vinca, di centocinquantamila lire, esternandogli insieme il proposito di farsi smobilitare, cosa che ottenne dopo una decina di giorni. All’udienza il Berretti dichiara in proposito che era già in attesa di smobilitazione e che il 26 agosto, appena rientrato a Carrara, tornò a casa perché ammalato.
Opportunamente interrogato, il Berretti dice altresì che durante la rappresaglia non udì sparatorie, ma vide sui monti il fuoco degli incendi. Ciò significa che il Berretti non doveva trovarsi lontano dall’epicentro dell’azione e comunque il suo comportamento subito dopo il ritomo a Carrara avvalora il dubbio che il riferimento del Pensierini sia vero.
6°) Manfredi Giuseppe, sergente: Ammise in istruttoria e conferma al dibattimento d’aver partecipato alla spedizione facendo servizio perlustrativo presso un ponte sulla strada fra Monzone e Vinca, donde sentiva il fragore di sparatorie ma non vedeva incendi.
Due testimoni di Vinca intesero fare il nome di Manfredi: Marchi Ilma sentì chiamare Manfredi poco lungi da Vinca e poco dopo l’arrivo dei brigatisti, la mattina del 24 agosto. Marchi Gioconda udì che brigatisti fecero il nome di Manfredi in una località denominata Foscione e poiché la teste aveva un genero, appuntato nei Carabinieri, con il cognome di Manfredi, domandò spiegazioni, senza tuttavia ottenerne.
Tra gli imputati c’è anche il Manfredi Italo, che però esclude d’aver partecipato alla rappresaglia. È quindi ragionevole, in base alle ammissioni di Manfredi Giuseppe e al deposito delle due donne, il dubbio che Manfredi Giuseppe non sia rimasto inoperoso durante l’azione.
7°) Menconi Ferdinando, milite: Disse dapprima che il 24 agosto restò in caserma e il 25, per ordine del sergente Manfredi Giuseppe (tornato da Vinca a Carrara per prendere i militi rimasti) partì con altri tre brigatisti per ritirare un mortaio tedesco piazzato nelle vicinanze di Vinca, tornando il 25 stesso a Carrara. Successivamente ammise d’esser partito con gli altri, nella notte sul 24 agosto.
All’udienza conferma questa seconda versione aggiungendo che il 24 prestò servizio di pattuglia sul Monte Sagro e il 25 tornò da solo a Carrara. Il teste a discarico Dazi Altiero, rastrellato il 24 agosto, dice che la sera del 25 il Menconi, al quale si era rivolta la moglie o la sorella di esso teste, gli portò da mangiare nel palazzo dell’Infail, dove era stato rinchiuso.
La teste d’accusa Giananti Angelina sentì fare, il 24 agosto, dal suo nascondiglio, il nome di «Nandino» da un gruppo di brigatisti che trovarono in località Bronza le donne che vennero poi uccise al Mandrione. Dopo il nome di «Nandino» la teste percepì la frase: « Finalmente le abbiamo trovate! vieni qua, non uccidete dentro i buchi, se no possono restare ferite o vive; tiratele fuori e mitragliatele!».
Pur essendovi ragione di dubitare che la persona sentita chiamare dalla Giananti si identifichi col Menconi, in quanto il nome di Ferdinando o Nando è comune ad altri imputati (Bordigoni, Masetti, Merlini) il dubbio, nei riguardi del Menconi, è avvalorato dal suo incerto contegno difensivo e dalle sue stesse ammissioni, tanto più che il Monte Sagro non è lungi da Vinca e la domina, data la sua altitudine fra le circostanti montagne.
8° Moracchini Giorgio, milite: Ammise dapprima d’essere andato a Vinca e i coimputati confermarono il suo intervento. Ratti Lido affermò che il Moracchini, di ritomo da Vinca, gli regalò mezzo fiasco d’olio rubato durante l’azione. All’udienza il Moracchini nega d’essere arrivato a Vinca, asserendo d’essere rimasto a Monzone, a guardia di un parcheggio anzi campeggio tedesco. Ritratta le accuse fatte in precedenza a diversi coimputati, allegando pretesti vani e contraddittori.
La difesa produce il foglio di proposta a rassegna, di cui si è trattato nella parte generale.
In mancanza d’altre fonti accusatrici, il particolare già riferito dal coimputato Ratti (ora contumace) e le contraddizioni del Moracchini giustificano il dubbio, ma non costituiscono elementi sufficienti per una affermazione di responsabilità.
9°) Peselli Luigi, milite: Cominciò col dire che restò a Carrara, all’ospedale, perché ammalato; ma il Dottor Laudanà attestò d’averlo curato soltanto fino al 20 agosto.
Computati lo accusarono d’aver partecipato alla spedizione e Moracchini Giorgio e Menconi dissero che il Peselli, nel lancio di una bomba, s’era ferito ad una mano. Bigarani disse a sua volta d’averlo visto camminare zoppo al ritorno da Vinca. Alla udienza il Peselli dice che a causa della malattia restò in casa (non più all’ospedale) ed informa che all’età di 7 anni riportò frattura al femore destro, per effetto della quale, se è stanco, prova difficoltà nella deambulazione.
Questa informazione rende plausibile l’asserzione del Bigarani e scuotendo l’alibi (quantunque puntellato dalla testimonianza di Pegollo Mafalda, evidentemente compiacente) ingenera il dubbio che il Peselli l’abbia allegato per liberarsi dall’accusa, che gli fu mossa dal Menconi, oltreché dal Moracchini e da altri imputati, che lo additarono fra i partecipanti alla rappresaglia.
10°) Cattabiani Galliano, maresciallo: Assunse d’esser partito pel Nord d’Italia fin dal 9 agosto 1944, ma l’alibi dette esito negativo eccettuato il deposto d’uno zio affine. Coimputati lo accusarono di partecipazione ai fatti di Vinca e Berretta Angelo lo dipinse come uno dei più faziosi e crudeli brigatisti neri.
Menconi disse che fu tra quelli che più distinsero nel commettere misfatti. All’udienza costoro ritrattarono le accuse e l’imputato precisa che partì col generale Biagioni, di cui era capo-scorta, per il Nord d’Italia, il 9 agosto e tomo a Carrara la notte fra il 1° e il 2 settembre 1944.
Testimoni indotti a difesa del Cattabiani non sono comparsi. Data la genericità delle prime accuse di coimputati e le successive ritrattazioni, conviene assolvere anche il Cattabiani dai reati comuni con la formula dubitativa, riservando il giudizio sul collaborazionismo, per cui è stato disposto lo stralcio.
11°) Nicolai Lorenzo, sergente: Negò in istruttoria, ammette al dibattimento d’aver partecipato alla spedizione affermando d’esser rimasto a Gragnola, a guardia di un autoparco tedesco. Ma una teste, Corvi Elisa, depone d’aver veduto l’imputato, di ritomo da Vinca, la sera di uno dei giorni della rappresaglia, specificando che quella sera dormì in casa sua. È pertanto legittimo il dubbio che il sergente Nicolai non sia estraneo alla criminosa rappresaglia; talché sarà prosciolto dai reati comuni con la formula dubitativa, mentre si dovrà dichiarare che non poteva procedersi pel collaborazionismo, in quanto il Nicolai fu giudicato a Genova per tale reato.
12°) Porta Benito, milite: Ammise fin dal periodo istruttorio d’aver partecipato alla spedizione su Vinca. Il computato Berretti Angelo dichiarò che persone di Codena dicevano che il Porta, dopo i fatti di Vinca, andava in giro per il paese mostrando oggetti d’oro asportati. Ma al dibattimento il Berretti dice che queste erano tutte «chiacchiere di donne». L’imputato afferma che fu di tale pattuglia sul Monte Sagro «per non lasciar passare nessuno» il 24 e il 25 agosto e nega d’esser passato da Vinca il 26. Aggiunge che dal Sagro vide incendi e udì spari; ma seppe delle stragi parecchio tempo dopo, a Carrara. Nega altresì d’aver fatto parte del plotone d’esecuzione del partigiano Lori Oreste precisando che egli entrò nella brigata nera dopo il fatto e cioè dopo il 20 o 21 agosto 1944. A conferma di ciò la teste Listori Isolina, indotta a discarico, depone d’aver ospitato Porta Benito, amico di suo figlio, dal 1° al 20 agosto 1944 ed afferma di poter precisare questo periodo perché, dopo aver deposto a Carrara, segnò sopra un pezzo di carta le date indicate al magistrato inquirente. Il particolare denota chiaramente l’inattendibilità della testimonianza Listori.
Ma Porta Benito, la cui responsabilità resta dubbia pei fatti di Vinca, non è raggiunto da prove sufficienti neppure per l’assassinio Lori, poiché Don Vitali non riconosce l’imputato, il capitano Evangelisti non lo nomina e il denunciante Rossi Alfredo non è un testimone diretto ma riferisce cose apprese da un brigatista, Vanelli Gino, che non è stato mai esaminato perché ucciso in uno scontro con partigiani. Perciò Porta Benito, minorenne al tempo dei misfatti, sarà prosciolto con la formula dubitativa dai reati comuni e amnistiato dal collaborazionismo.
13°) Porta Olinto, sergente, padre del precedente: Asserì in istruttoria e ripete all’udienza che non partecipò alla spedizione su Vinca, ma rimase in caserma, essendo addetto alla mensa in qualità di cuoco, nella quale mansione fu sostituito da Alibani Dante il 28 agosto 1944. Ma l’Alibani e così pure Corvi Ugo, Croci Alfredo e due donne (Ussi Federa e Parrini Liliana) smentiscono il Porta, attestando che la sostituzione era avvenuta parecchi giorni prima della rappresaglia.
I coimputati Piolanti, Menconi, Manfredi Giuseppe dissero che Porta Olinto partecipò, mentre Ridolfi lo escluse.
Due testimoni indotti dal Porta a conferma dell’alibi non hanno potuto esser precisi circa le date (Alberti Cario e Fidenti Luigi).
L’alibi dunque deve ritenersi fallito, con la conseguenza che il Porta, che lo ha strenuamente sostenuto, resta sotto il peso delle accuse di coimputati, accuse che, per quanto generiche, autorizzano il dubbio che Porta Olinto non sia rimasto inerte durante l’azione, da cui ha tentato di apparire lontano. Pel fatto Lori valgono per Porta Olinto le considerazioni accennate trattando della posizione di suo figlio Benito. E le conclusioni sono identiche.
4°) Aloisi Giuseppe: Tenente nella brigata nera di Carrara respinge l’accusa, relativa all’omicidio Lori, asserendo che era a La Spezia, ammalato, fino dal luglio 1944.
Il teste indotto a discarico, Bertolla Mario, depone che l’Aloisi si trasferì a La Spezia nell’agosto 1944 e che egli lo vide in seguitò colà più volte e lo visitò saltuariamente quando rimaneva a letto per il male di stomaco che accusava.
Dei testi d’accusa, Rossi Alfredo dichiarò in un primo momento che l’Aloisi comandò il plotone d’esecuzione, ma finisce col dire che il comandante di tale plotone fu il Bovani, per essersi l’Aloisi rifiutato. Evangelisti Manrico dice d’aver appreso dal milite Dolfi che l’Aloisi fece parte del tribunale che condannò il Lori. Il Dolfi (ora defunto) avrebbe inteso dir questo.
Don Pietro Vitali non ha riconosciuto l’Aloisi.
Si è già detto, parlando del Bovani, che la deposizione dell’Evangelisti va messa in rapporto col fatto che questi, comandante allora della G. N. R., riferì sulla fucilazione del partigiano al Comando provinciale, cosa che non può aver fatto senza avere attinto informazioni adeguate.
Pertanto l’alibi, imperfettamente riuscito, dell’Aloisi non esclude il fondato dubbio che egli abbia realmente partecipato alla condanna del Lori.
15°) Fialdini Mario, milite: Minorenne al tempo dell’omicidio Lori, confessa di avere, insieme con altri, proceduto alla cattura del partigiano, che fu da essi scortato sino alla caserma della brigata nera. Lo stesso Fialdini dice però d’ignorare chi ordinò la fucilazione e chi la eseguì. Il denunciante Rossi Alfredo indica il Fialdini quale reo di aver partecipato sia alla cattura del Lori sia al plotone di esecuzione; e ciò in base alle notizie avute dal brigatista Vanelli Gino, che a richiesta del Rossi compilò un elenco di nomi. Evangelisti Manrico non nomina il Fialdini e Don Vitali non lo riconosce.
Tali essendo le risultanze, è ben fondato il dubbio, se pur non vi è la certezza, che il Fialdini, oltreché alla cattura, abbia partecipato alla fucilazione, o, comunque, l’abbia preveduta e voluta, conoscendo la sorte che era riserbata in quel tempo a chi si trovasse nelle condizioni del Lori.
16°) Dell ‘Amico Andrea, milite: Nega d’aver partecipato ai fatti di Bergiola assumendo che dalla sera dell’11 alla mattina del 16 settembre 1944 fu di scorta a civili rastrellati e trasferiti da Carrara a Carpi di Modena. Il 16 mattina, di ritomo da Carpi, trovò soltanto quindici o venti brigatisti, presenti nella Caserma di Carrara.
Il teste Dell’Amico Pietro, che in istruttoria disse d’aver veduto a Bergiola l’imputato, lo esclude al dibattimento. Ma l’altro teste, Morelli Gino, conferma d’aver saputo da persona di Bergiola che il prevenuto era con una mitragliatrice sulla collinetta donde fu sparato contro i rastrellati adunati nel palazzo delle scuole.
Quest’ultimo riferimento e la mancata dimostrazione dell’alibi, tenuto presente che la rappresaglia su Bergiola si svolse nel pomeriggio del 16 settembre, legittimano il dubbio che il giudicabile non sia estraneo al fatto delittuoso.
Nei riguardi degli altri imputati, di cui resta a parlare, manca del tutto la prova di un concorso punibile e v’è la prova che non hanno partecipato ai reati loro attribuiti:
1°) Presempio [Persempio, in altro luogo] Silvano, milite, che aveva sedici anni al tempo dei fatti, negò in istruttoria ed ammette all’udienza d’aver partecipato alla spedizione su Vinca, rimanendo a custodia di automezzi tedeschi oltre Monzone. Fu accusato di partecipazione attiva da coimputati, fra cui Moracchini Giorgio che lo disse pericoloso criminale ed aggiunse d’averlo veduto incendiare diverse case e ammazzare diverse persone durante la strage di Vinca. Ma l’accusa, ampiamente ritrattata, è così grave, per un sedicenne incensurato, che non appare credibile, tanto più che la prima versione accusatoria del Moracchini non trova in altre risultanze quel conforto che potrebbe renderla attendibile, malgrado l’anormale personalità dell’accusatore.
2°) Bertieri Renato, cap. maggi: Rimase il 24 agosto a Gragnola, a vigilare i rastrellati, che scortò il 25 a Carrara. Tale assunto dell’imputato è confermato sia dai testi d’accusa che da quelli di difesa: Catelani Amilcare ed Ercolini Corrado; Terenzani Adalgisa e Poleschi.
3°) Bichi Anastasio, sergente magg.: Fu fatto partire per ordine del cap. Cappellini [Ceppellini?], quantunque .si trovasse in sala di punizione; ma, giunto a Gragnola, vi si trattenne quale capoposto a guardia dei civili che erano stati rastrellati dai tedeschi. Ciò è confermato da parecchi testimoni: Catelani Amilcare (a cui l’imputato salva il fratello), Forfori Giuseppe, Ceci Nello, Ercolini Corrado, Mattina Pasquale, Terenzani Adalgisa.
4°) Bigarani Loris, milite: Minorenne al tempo dei fatti, ammise in istruttoria d’aver partecipato alla spedizione su Vinca, restando di guardia al ponte di Monzone. Al G. i. disse d’essersi fermato soltanto due ore. All’udienza dice d’essere rimasto in caserma ed un teste, Venturini Napoleone, depone di averlo visto a Carrara il 24 o il 25 agosto. Un’altra teste, Belle Corinna, lo vide pure a Carrara, ma si mostra incerta sul giorno.
Non vi sono, comunque, prove a suo carico.
5°) Manfredi Italo, sergente: Afferma d’esser rimasto in Caserma. I computati che avevano affermato la sua partecipazione alla spedizione ritrattano. Null’altro risulta.
6°) Piolanti Guglielmo, cap. magg. Ammette d’aver partecipato alla spedizione, facendo servizio di pattuglia presso la segheria Walton in Monzone, per evitare il transito di persone armate e salvaguardare civili da molestie da parte di tedeschi. Quantunque ciò sia del tutto incredibile, non vi sono prove che il Piotanti abbia contribuito in modo efficiente alla rappresaglia.
7°) Paoli Alvaro, cap. maggi: Assume d’esser rimato a casa perché affetto da scabbia e due testi, in istruttoria, dissero d’averlo visto a Carrara. Ma fu accusato di generica partecipazione da Moracchini Giorgio e Bigarani, il primo dei quali ritrattò l’accusa fin dal periodo istruttorio.
8°) Marocchini Guglielmo, milite: Ammette d’essere intervenuto, ma limitandosi a fare la guardia a parcheggi per autoveicoli oltre Monzone.
9°) Tesconi Giuseppe, caporale: Adduce un alibi a Torino, che fu confortato, in istruttoria, da qualche testimonianza; mentre coimputati, che poi ritrattarono, lo accusarono di generica partecipazione alla rappresaglia: null’altro.
10°) Pisani Italo, milite: Restò a Gragnola, a guardia dei rastrellati, che poi accompagnò a Carrara. Passani Cario, rastrellato altrove il 15 agosto, fu liberato i1 22 o il 23 agosto per interessamento del Pisani.
11°) Morelli Pietro, milite: Accusato, mentre era latitante, di generica partecipazione dal coimputato Manfredi Giuseppe, che poi ritrattò, nega d’essere intervenuto asserendo d’esser rimasto di sentinella a Carrara.
12°) De Pietri Mario, milite: Restò a Monzone Basso, a guardia di autoveicoli. Si smobilitò subito dopo i fatti di Vinca perché spaventato per quello che era avvenuto. Così disse in istruttoria. All’udienza ha detto che si spaventò per aver visto un cadavere a Gragnola e per essere stato minacciato da un tedesco. La prima versione è assai più attendibile, ma non atta a determinare qualsiasi responsabilità dell’imputato.
13°) Ridolfi Gino, cap. magg.: Ammise e conferma d’aver fatto servizio di perlustrazione sul Sagro. Dice che vi furono sparatorie fra tedeschi e partieiani e che vide un morto sul Monte. Il coimputato Pensierini dichiarò in istruttoria che certa Benatti intese il Ridolfi dire che la sua camicia nera stava per diventare rossa; ma la Bonatti negò, e nessun’altra prova è stata acquisita.
14°) Pollina Almo, milite: Ammettendo d’aver partecipato alla spedizione disse d’aver fatto la guardia presso il ponte di Vìnca. All’udienza ha detto d’essere stato di pattuglia sulla strada presso Monzone col compito di perquisire i partigiani, disarmarli e poi rilasciarli: cosa inverosimile. Non è tuttavia dimostrato che il Pollina abbia spiegato una concreta attività delittuosa.
15°) Vanelli Cherubino, milite: Fu accusato da coimputati di partecipazione generica e il suo nome figura negli elenchi rinvenuti a Vinca. Piotanti disse che fu di guardia con lui sulla strada di Monzone. Nessun’accusa specifica.
16°) Moracchini Gino, milite: Fu accusato di partecipazione generica da coimputati, uno dei quali, il Bigarani, disse che fu di guardia con lui ad un ponte presso Vinca. Bichi, nel ritorno, lo soccorse in un incidente d’auto. Null’altro.
17°) Frizzi Darlo, mìlite: Fu accusato in istruttoria di generica partecipazione alla spedizione, da parte di coimputati, che però non lo incolparono di alcun fatto specifico.
18°) Marchetti Mario, milite: La sua partecipazione alla spedizione fu asserita da coimputati, fra cui Pensierini, il quale disse che il Marchetti fu di servizio con lui sul Sagro. Il teste Venturini lo vide ritornare attraverso i monti con tre rastrellati. Nulla di più preciso a suo carico.
19°) Lucchini Benito, milite: Accusato di partecipazione generica da coimputati, fra cui Pensierini che lo disse di servizio con lui sul Sagro.
20°) Lucchini Giuseppe, milite: Accusato genericamente soltanto dal coimputato Ussi, che poi ritrattò.
21°) Pisani Mario, milite: Accusato in istruttoria, da coimputati, di sola partecipazione generica.
22°) Giannotti Aldo, milite: Accusato di generica partecipazione da Pisani Italo e dal Bichi, il quale precisò che il Giannotti rimase con lui a Gragnola, dove fu visto dal teste Bigi Giovanni.
23°) RaffiAugusto, milite: Accusato di partecipazione generica da coimputati, fra cui Manfredi Giuseppe che disse esser rimasto con lui al Ponte di Vinca.
24°) Raffi Pietro, milite: Come il precedente.
25°) Ghelfi Quirino, sergente; Accusato di generica partecipazione da coimputati, fra cui Ridolfi che disse essere stato con lui sul Sagro, confermandolo all’udienza. Così anche Dell’Amico Augusto.
26°) Merlini Nando Almo, milite: Il coimputato Bichi disse che rimase con lui a Gragnola.
27°) Assungia Gualtiero, milite: Accusato genericamente dal coimputato Berretti Angelo, che subito dopo ritrattò e all’udienza non fa più il suo nome.
28°) Bertini Giovanni, milite: Il coimputato Bichi Anastasio lo indicò fra quelli rimasti con lui a Gragnola. Il teste Ercolini Corrado depose che il Bertini giunse a Gragnola ad eccidio (da parte dei Tedeschi) già avvenuto.
29°) Ratti Lido, milite: Accusato da coimputati di generica partecipazione, fu visto a Monzone, dove disse d’essersi fermato, dal teste Dottor Alberto Schiaffino, durante tutti e tre i giorni della rappresaglia.
Tutti i predetti imputati saranno assolti con formula piena dalle imputazioni di strage, devastazione e saccheggio continuato in Vinca, amnistiato il collaborazionismo.
30°) Del Frate Giuseppe, milite: Nega per Vinca dicendo che la notte della partenza era in casa ammalato e che poi fu comandato, come di consueto, a far da piantone. Nega per Bergiola affermando che fin dal 14 settembre era partito per il Nord. Nega d’aver partecipato al plotone d’esecuzione del partigiano Oreste Lori.
Da quest’ultima accusa è scagionato dallo stesso denunciante, Rossi Alfredo, il quale attesta che Del Frate si rifiutò di partecipare alla cattura del suo figliastro e non prese parte alla fucilazione.
Circa i fatti di Vinca non vi sono prove specifiche a carico di Del Frate, essendosi alcuni coimputati limitati ad affermare in istruttoria la sua generica partecipazione alla spedizione.
Accanto alla rappresaglia di Bergiola non può invece escludersi il dubbio che Del Frate vi abbia partecipato, come attesta per averlo sentito dire a Carrara, Dell’Amico Pietro; perché il testimonio Galvani Carlo, indotto a sostegno dell’alibi, non merita fede sia per avere appartenuto alla G. N. R. sia pel contrasto fra la sua inverosimile deposizione e le informazioni della Questura di Massa, donde risulta che la brigata nera di Carrara si trasferì a Berceto di Parma dal 20 settembre in poi.
Sarà quindi adottata per Del Frate la formula d’assoluzione piena pei misfatti di Vinca e per l’omicidio Lori, e la formula dubitativa per la strage di Bergiola, amnistiato il collaborazionismo.
31°) Bernardini Gino: Tenente nella B. N. addusse un alibi ad Aosta ed insiste su questo. L’alibi è suffragato da tre testimoni: il barbiere Telloli e due ex militi della G, N. R. – Sonza Adolfo e Grego Federico – condannato per collaborazionismo, nonché da un certificato di convalescenza per 60 giorni del medico militare Dr. Marcello Zampolini, rilasciato in data 3 agosto 1944. Vari coimputati (Piolanti, Menconi, Beretti [Berretti] Angelo, Manfredi Giuseppe, Pensierini) affermarono invece la generica partecipazione del Bernardini alla spedizione su Vinca. Comunque nulla di concreto è emerso a carico del prevenuto, che merita perciò d’esser prosciolto con formula piena dai reati comuni, mentre in ordine al collaborazionismo deve farsi applicazione dell’art. 90 C. p. p. essendo il Bernardini stato già giudicato per tale reato.
32°) Rivano Giovanni, tenente: Alcuni imputati affermarono, altri negarono la sua generica partecipazione alla rappresaglia.
Anche il Rivano, come il Bernardini, è stato giudicato pel collaborazionismo.
Si dovrà concludere come per Bernardini Gino.
33°) Poli Cesare, tenente: Fu indiziato essenzialmente perché un teste depose in istruttoria che un Poli venne ferito in casa Bernardini, a Monzone, il 24 o 25 agosto 1944. Ma all’udienza, in base al deposito del detto testimonio, che s’identifica nel Dottor Rosoni Oscar, nonché del Dottor Alberto Schiaffino e di Corvi Elisa, è stato pienamente chiarito che la persona mortalmente ferita e poi deceduta a Monzone Basso, per colpa d’un tedesco ubriaco, rispondeva al nome di Poli Alfredo o Alberto ed era genero del padrone di casa.
Altri testimoni (Morelli Gino, Bertolini Luciano) e documenti, fra cui un attestato del Sindaco di Viggiù, un certificato del Dottor Piccini, pure di Viggiù, e un’attestazione del C. L. N. per l’Alta Italia, comprovano, d’altronde l’alibi addotto dal Poli, che disse di essersi trovato, quando seguì la rappresaglia di Vinca, a Saltrio di Viggin, in provincia di Varese.
Poli Cesare, quindi, merita d’esser prosciolto con formula piena anche dal collaborazionismo, non bastando l’appartenenza alle B. N. ad integrare tale reato.
34°) Benghi Osvaldo, tenente medico: Alcuni coimputati dissero d’averlo veduto partire da Carrara, la notte sul 24 agosto 1944; altri no, fra cui il Ceppellini, che esclude la sua partecipazione. Due testi indotte a difesa depongono d’averlo visto a Carrara, tanto il 24 quanto il 25 agosto.
In ogni modo, essendo stato il tenente Benghi ufficiale medico della brigata nera, si deve escludere che nell’esercizio della sua missione, da cui non risulta abbia decampato, egli sia potuto incorrere in responsabilità penali, sia per i delitti comuni, sia per la collaborazione con i Tedeschi.
35°) Bombarda Guido: Risulta deceduto a Sarzana il 5 aprile 1945.
La collaborazione o la revoca dei mandati di cattura, nei confronti dei prosciolti, consegue al proscioglimento.
P. Q. M.
La Corte, visti gli articoli 477, 479, 483, 484, 487, 488, 489 C. P. P. e 29, 32, 36, 230 C. P.P. e ritenuto, in parziale modifica dell’imputazione, che tutti i fatti di collaborazione col tedesco invasore dei quali si tratta costituiscono il delitto di cui all’art. 5 D. L. L. 22 luglio 1944 n. 159 in relazione all’art. 58 C. P. M. G.;
che i fatti commessi a Vinca dal 24 agosto al 27 agosto del 1944 e a Bergiola il 16 settembre 1944 costituiscono concorso nel delitto di strage continuata, anche a mezzo di incendio, ai sensi degli art.li 110, 81 e 422 C. P. rimanendo assorbite nel delitto di strage tutte le imputazioni di omicidio e di lesione personale, nonché nel concorso nel delitto di devastazione e saccheggio in Vinca a mente degli articoli 110, 81 e 419 C. P., assorbito in questo reato quello di furto ascritto al Pensierini; ferme le imputazioni di rapina commessa in Bergiola la notte del 24 agosto 1944 ed ascritta al Masetti; di sequestri di persona, lesioni personali e violenze private, ascritte al Diamanti per i fatti del 1921 e fermo l’omicidio Lori, con esclusione dell’aggravante della premeditazione, dichiara colpevoli:
Bordigoni Fernando di collaborazione politica e strage continuata in Vinca,
Bragozzi Giovanni di strage continuata a Vinca,
Fabiani Corinno, di collaborazione e strage continuata a Vinca, con l’attenuante di che all’art. 26 C. P. M. R. limitatamente al collaborazionismo,
Pensierini Andrea di collaborazione, strage continuata, devastazione e saccheggio continuato a Vinca,
Ussi Elio di collaborazione, strage continuata, devastazione e saccheggio continuato a Vinca,
Tomagnini Giovanni di collaborazione, strage continuata a Vìnca,
Nana Agostino di collaborazionismo, devastazione e saccheggio continuato a Vinca,
Diamanti Giuseppe di collaborazione e strage continuata a Vinca e Bergiola, nonché devastazione e saccheggio continuati a Vinca,
Capitani Paris di collaborazione e strage continuata a Vinca e Bergiola,
Masetti Italo di collaborazione, devastazione, saccheggio continuato a Vinca e strage a Bergiola,
Ciampi Ruggero di collaborazione e strage e Bergiola,
Dell’Amico Linda di collaborazione e strage a Bergiola,
Bovani Alfredo di collaborazione ed omicidio Lori ai sensi dell’art. 575 C. P. e conseguente
condanna:
il Bordigoni all’ergastolo con un anno di isolamento diurno,
il Bragazzi all’ergastolo,
il Fabiani all’ergastolo con 6 mesi di isolamento diurno,
il Pensierini all’ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno,
l’Ussi all’ergastolo con due anni di isolamento diurno,
il Nana a 30 anni di reclusione,
il Tomagnini all’ergastolo con un anno di isolamento diurno,
il Diamanti all’ergastolo con due anni di isolamento diurno,
il Capitani all’ergastolo con un anno di isolamento diurno,
il Masetti all’ergastolo con tre anni di isolamento diurno,
il Ciampi all’ergastolo con un anno di isolamento diurno,
la Dell’Amico Linda all’ergastolo con un anno di isolamento diurno,
il Bovani a 30 anni di reclusione;
assolve:
il Bordigoni dalla devastazione e saccheggio ascrittagli per insufficienza di prove,
il Bragazzi dalla devastazione e saccheggio ascrittagli nonché dall’omicidio Lori per insufficienza di prove,
il Fabiani dalla devastazione e saccheggio ascrittigli per insufficienza di prove,
il Nana dalla strage ascrittagli per insufficienza di prove,
il Tomagnini dalla devastazione e saccheggio ascrittigli per insufficienza di prove,
il Capitani dalla devastazione e saccheggio ascrittigli per insufficienza di prove,
il Masetti dalla rapina del 24 agosto 1944 in Bergiola e dall’omicidio Lori per non avere commesso i fatti e dalla strage di Vinca per insufficienza di prove,
il Ciampi dalla strage continuata, devastazione e saccheggio in Vinca per non aver commesso i fatti;
Dichiara non doversi procedere contro Diamanti per i fatti del 1921 perché i reati che vi corrispondono sono estinti per amnistia;
Condanna tutti i suddetti all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e alla interdizione legale e i condannati all’ergastolo anche alle spese di pubblicazione della presente sentenza, disponendo che questa sia pubblicata per estratto sul «Messaggero» e sul «Nuovo Corriere»;
Ordina inoltre che tutti i condannati siano sottoposti a libertà vigilata per anni 3;
Condanna tutti gli imputati al pagamento delle spese processuali e alla riparazione dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, a favore delle parti civili, assegnando a costoro la chiesta provvisionale di L. 2.000.000 e liquidando in L. 500.000 le spese sostenute dalle stesse parti civili, compresi gli onorari ai difensori.